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 2022  gennaio 30 Domenica calendario

Vasco Rossi e suoi 70 anni

«Sono 70 volte che la terra mi fa girare intorno al sole e la testa non mi gira ancora». Vasco (Zocca, 7 febbraio 1952) si prepara a farne 70, un numero che inizia a non essere banale. Ogni giorno è tempo di bilanci, Vasco ha fatto il suo: «Devo tutto alla musica che non fa distinzioni di sorta, non è il passare del tempo che conta, ma come lo usi. Intrigante è il viaggio che la musica ti permette tra fortissime emozioni, splendide illusioni e tremende delusioni». 
Instagram è diventato per Vasco una sorta di diario pubblico dove raccontare emozioni private, riflessioni a voce alta: «Se c’è una funzione vitale che può esercitare il rock è quella di offrire una via d’uscita o magari soltanto una via di fuga per qualche ora. Per fuggire da cosa? Da un mondo che almeno a me personalmente non piace e che è molto lontano dal mondo che vorrei. La vita non è mai stata una vacanza e lo è ancora meno in questi tempi bui». 
Ieri ha voluto anche ricordare i suoi inizi, là dove tutto esplose, a Sanremo: «Accadeva il 29 gennaio, succedeva 40 anni fa, nel 1982: mi butto nella gara e... arrivo in finale. Tra gli ultimi nella classifica ma, come si sa, “beati gli ultimi” e io ero beatissimo del mio successo, avevo fatto centro. Ci andai perché Ravera in persona (il factotum del Festival di allora) mi offriva la platea nazionale della televisione garantendomi soprattutto la libertà di fare quello che volevo. Geniale Ravera, aveva capito che la musica nell’aria stava cambiando e che io rappresentavo il nuovo. Per questo accettai l’invito e ci andai. Da solo, perché nessuno dei miei fidati collaboratori di allora, leggi Guido Elmi in primis, volle accompagnarmi, non ci credevano». 
Chissà come si è mangiato le mani Guido Elmi. Vasco sa quel che fa, solo contro tutti, geniale Ravera e di conseguenza geniale lui, «che rappresentava il nuovo», autoironia e sberleffo, cantautorato e rock. «Avevo già scritto canzoni come Jenny, Albachiara, La noia, La nostra relazione, Colpa d’Alfredo, Siamo solo noi, i miei primi quattro Lp rock erano fuori. Andava bene con i concerti, ma mi conoscevano per lo più a livello regionale, in Emilia, un po’ in Lombardia e Piemonte. La platea nazionale mi serviva, ma quello che volevo io, soprattutto, era sbalordirli, provocarli, scuotere in loro un’emozione, dissacrare quel palco con ironia e provocazione: vado al massimo, vado al massimo, vado a gonfie vele (che non era vero niente in realtà)». 
Il bluff del rocker, dice che va a gonfie vele, ma dentro poi non è esattamente così. Ne sa qualcosa, perché – lo ha raccontato tempo fa – ha attraversato la depressione Vasco, «quella continua sensazione di groppo in gola, di sconsolata tristezza. Un velo opaco, grigio, su ogni cosa. Essere di cattivo umore sempre, dalla mattina alla sera, dalla sera alla mattina. Per settimane, mesi. Sempre». 

Il tredicenne che vinse il suo primo concorso («L’usignolo d’oro», Teatro Comunale di Modena) e poi ha saputo fare un concerto da 225 mila spettatori (Modena Park, 2017). Sanremo tappa fondamentale: «Più che una sfida, quei 3 minuti di esibizione, lo spazio di una canzone, rappresentavano per me un’occasione unica per farmi notare da più gente possibile. Della gara, a me, non m’importava nulla e tantomeno di vestirmi “elegante”, io avevo il mio look da concerto, jeans e giacca in pelle. Ricordo che dietro le quinte mi guardavano tutti come se io fossi un alieno quando per me gli alieni erano loro che si stravestivano e si truccavano, a me interessava solo salire sul palco e nient’altro. L’anno dopo ci sono tornato a Sanremo, per riconoscenza nei confronti di Gianni Ravera che mi aveva dato carta bianca, e solo perché avevo la canzone giusta: Vita spericolata, una bomba».