Corriere della Sera, 30 gennaio 2022
L’uso cinico dell’allarme migranti
Le democrazie attraversano un momento difficile. Ne abbiamo avuto una clamorosa dimostrazione quando abbiamo letto che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, voleva impedire una riunione del Senato (dove la maggioranza gli era ostile) ed era anche pronto a usare, per riuscirvi, un manipolo di sfaccendati attaccabrighe. E ne abbiamo avuto una ulteriore conferma quando Nancy Pelosi, presidente della Camera dei Rappresentanti, ha preso in considerazione la nomina di una Commissione per indagare sull’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Il successore di Trump, Joe Biden, è certamente più presentabile, ma non passerà alla storia per la chiarezza e fermezza dei suoi interventi; e non ha giovato alla sua credibilità il modo in cui ha ritirato il suo Paese dalla crisi medio-orientale. Altri Stati europei attraversano momenti difficili. La Gran Bretagna, madre di tutte le democrazie parlamentari e modello costituzionale per quasi tutti i Paesi del Commonwealth, ha un imbarazzante primo ministro, Boris Johnson, che sembra spiccare soprattutto per la sua eccentricità e imprevedibilità. La Francia naviga in acque migliori e ha un capo dello Stato, Emmanuel Macron, che sembra deciso a fare dell’Europa un modello di federazione democratica. Ma non meno preoccupante è la frequente apparizione sulla scena politica di personaggi che non credono nell’alternanza democratica del potere e vorrebbero conservare il proprio quanto più lungamente possibile. Il modello di questa categoria è Viktor Orbán, primo ministro dell’Ungheria dal maggio del 2010 e creatore di un sistema politico che ha sfacciatamente definito «democrazia illiberale». Altri uomini politici, soprattutto nei Balcani, sono probabilmente pronti a imitarlo. Un fenomeno così diffuso non può non avere le sue cause; e una di queste è probabilmente l’immigrazione. In un mondo sempre più globalizzato, molte democrazie hanno cominciato a ricevere un numero crescente di immigrati provenienti dall’Africa e dall’Asia. I migranti nel mondo sono oggi 240 milioni con un aumento del 41% rispetto al 2000. Molti sono stati chiamati da Paesi che avevano bisogno di manodopera per il buon funzionamento della loro economia e di altri servizi sociali. Ma il numero dei nuovi arrivati oltrepassa frequentemente la domanda suscitando contemporaneamente molte inquietudini fra tutti coloro che li considerano una minaccia al loro status sociale e alle loro abitudini di vita. Queste ondate di malcontento sono state usate dai partiti populisti, presenti ormai in molte società europee, che conquistano popolarità denunciando l’impotenza dei governi. Sono esperienze che le società europee hanno dovuto affrontare in altre circostanze, come nell’era dei fascismi fra le due guerre mondiali del secolo scorso, dopo le grandi crisi finanziarie, ma su una scala meno elevata. Non possiamo rinunciare agli immigrati e non possiamo ignorare le loro condizioni di vita. Ma possiamo almeno, noi europei, fare politiche che consentano di trattenere sul posto il maggior numero possibile di potenziali migranti. Dobbiamo aiutarli a crescere economicamente. Oggi sono in molti casi i nostri fornitori di mano d’opera. Domani saranno i nostri partner.