la Repubblica, 30 gennaio 2022
Che farà adesso Draghi
Fino all’ultimo, Mario Draghi ha tentato di conquistare il Quirinale. Ma fino all’ultimo, ha anche considerato la conferma di Sergio Mattarella come l’alternativa migliore – forse addirittura l’unica davvero in grado di ammortizzare l’eventuale fallimento della scalata al Colle. «La rielezione di Sergio Mattarella – dice non a caso a sera il premier – è una splendida notizia per gli italiani. Sono grato al Presidente per la sua scelta di assecondare la fortissima volontà del Parlamento di rieleggerlo». C’è un prima e un dopo, questo è ormai evidente. Perché l’ex banchiere esce ammaccato dal tornante e intende spendere i prossimi dodici mesi per rilanciare quell’immagine di decisionismo e pragmatismo indebolita dalla sfida per il Colle. E infatti adesso che la polvere della battaglia inizia a depositarsi, Palazzo Chigi lascia intravedere il profilo del premier che sarà: basta compromessi – almeno questo è l’impegno elaborato nelle ore amare in cui si è dissolto il “progetto Quirinale”- basta mediazioni al ribasso come quelle pretese negli ultimi mesi dai partiti, massimo impegno sulle riforme facendo leva sull’ombrello garantito da Mattarella. C’è un prima e un dopo, dicevamo. Il momento della presa di coscienza risale al pomeriggio di venerdì. Dopo la mortificazione di Maria Elisabetta Casellati, il capo dell’esecutivo viene messo al corrente di una dinamica parlamentare ormai inevitabile: nessuno controlla più le coalizioni, nessuno può garantire la tenuta dei grandi elettori. Senza un patto largo tra tutte le forze del Parlamento, il rischio è quello di finire impallinato dai franchi tiratori. E infatti, la candidatura dell’ex numero uno della Bce non finirà mai in Aula. Da venerdì pomeriggio, insomma, parte rilevante delle energie dell’ex banchiere si concentra sul “dopo”. Prende forma anche lo slogan con cui supportare l’azione dell’esecutivo e l’immagine del presidente del Consiglio, che è anche la lettura politica per affrontare la nuova fase: il “Paese dei due Presidenti”. Saranno loro, è la tesi, a traghettare l’Italia fuori dalla tempesta. E sempre a loro è affidata la difesa di un quadro che i partiti, litigiosi e deboli come mai finora, hanno dimostrato di non saper gestire. In realtà, la partita politica si farà d’ora in avanti più complessa. Le coalizioni, intrappolate sotto le macerie di queste elezioni, promettono tensioni future e nuovi strappi. Un assaggio arriva quasi immediatamente, quando ancora è in corso lo scrutinio per il bis di Sergio Mattarella. Giancarlo Giorgetti lascia intendere di volersi dimettere. Parte la caccia all’interpretazione del gesto, anche e soprattutto nella galassia “draghiana”. Proprio Draghi chiede al leghista di posticipare ogni scelta, per non indebolire subito un esecutivo che ha bisogno vitale di mostrarsi solido, compatto e pronto a ripartire. Il ministro dello Sviluppo accetta una breve tregua, ma secondo diverse fonti leghiste starebbe comunque meditando l’addio. Da mesi è stanco delle battaglie con Salvini, deluso dai molti errori, esausto perché incastrato in una posizione impossibile, tra la leadership del segretario e il rapporto solido con Draghi. Se è vero che il premier non ha intenzione – non per il momento, almeno – di mettere mano alla squadra di governo, è altrettanto vero che nessuno immagina un film uguale a quello andato in onda fino ad ora. Inevitabile, visto che alcuni dei ministri hanno osteggiato apertamente l’elezione del capo dell’esecutivo al Quirinale. Draghi, però, metterà davanti a tutto la necessità di ricompattare una squadra sfibrata da settimane durissime. E così facendo, proverà a difendere la formula di unità nazionale, in attesa di capire l’evoluzione della resa dei conti nella Lega e nel Movimento. Non cambierà i suoi ministri, insomma. O meglio: lo farà se e quando lo riterrà, non perché glielo chiedono le forze di maggioranza. E si dedicherà a quello che ritiene di sapere fare meglio: elaborare soluzioni. Negli ultimi tre mesi diversi nodi non sono stati sciolti e il premier deve e vuole occuparsene. Il Pnrr resta la bussola, ovviamente, ma le pensioni rappresentano un terreno minato da affrontare presto e con decisione. Farà tutto quel che serve per risolvere la questione dei balneari e dell’ecobonus, su cui Carroccio e 5S avevano posto veti e frenato ogni soluzione drastica. In fondo, è la filosofia che l’aveva guidato per tutta la prima fase. E che tornerà, anche a costo di progressivi strappi. L’obiettivo è rafforzare l’immagine di protagonismo in Europa, a cui Draghi tiene molto e a cui non intende rinunciare. Il premier non metterà mano alla squadra dell’esecutivo ma difenderà la formula dell’unità nazionale Il premier Mario Draghi ieri nel centro di Città della Pieve