Corriere della Sera, 29 gennaio 2022
Laureate più brave, poi guadagnano il 20% in meno
L’università italiana cammina sulle gambe delle donne, ma il mondo del lavoro continua a marciare su quelle degli uomini. È questa la conclusione amara che si ricava dalla lettura del primo «Rapporto tematico di genere» realizzato dal consorzio universitario AlmaLaurea confrontando i percorsi di studio e professionali di quasi un milione di laureati e laureate fra il 2015 e il 2020. Sei su dieci tra essi sono donne. E tre su quattro sono le prime in famiglia a raggiungere il traguardo. Giovani donne che hanno concluso gli studi presto e bene, prima e meglio di quanto abbiano fatto i loro compagni (si laurea in corso il 60 per cento delle donne contro il 55 per cento degli uomini; voto medio: 103,9 contro 102,1).
Un vantaggio che si polverizza al primo impatto con il mondo del lavoro. Le donne scelgono più spesso un impiego pubblico, principalmente a scuola, dove sono condannate ad anni di precariato prima di raggiungere l’agognato posto fisso cantato da Checco Zalone. Gli uomini invece tendono a cercare lavoro nel privato oppure a scegliere un lavoro autonomo. Risultato: a cinque anni dal titolo guadagnano già il 20 per cento in più delle loro colleghe, la cui carriera è ulteriormente penalizzata nel caso facciano dei figli.
Se ci sono più laureate che laureati non è solo perché le donne sono più brave negli studi, più zelanti, ma al contrario perché sono più intraprendenti, più capaci di emanciparsi dalla famiglia d’origine e di fare «il salto di classe». «In questo primo rapporto di genere – spiega Marina Timoteo, direttrice di AlmaLaurea – emerge un ruolo importante delle donne nel far ripartire l’ascensore sociale: tra le laureate è più frequente trovare ragazze che provengono da contesti familiari meno favoriti e che seguono con minore frequenza le orme di famiglia. A queste donne innovative il sistema Paese deve garantire parità di condizioni in termini di accesso e di status in ambito professionale».
«Solo interventi di sistema che come governo abbiamo messo in cantiere, potranno incidere», ha commentato la ministra dell’Università Cristina Messa: qualcosa si sta già facendo soprattutto per spingere le ragazze in direzione di quei percorsi Stem (Scienze, Tecnologie, Ingegneria e Matematica) che sono tradizionale riserva dei maschi. Ma non basta. E, per quanto ridotto, anche in questi ambiti le donne scontano uno svantaggio economico. Il problema, ha sottolineato il presidente di AlmaLaurea ed ex rettore a Bologna Ivano Dionigi, è il persistere di «una cultura arretrata della società». Esemplare è il caso delle libere professioni: medici e avvocati, commercialisti e notai tendono a lasciare l’attività ai figli che alle figlie (in questi percorsi le donne che «ereditano il titolo» sono il 31 per cento contro il 42,5 per cento).