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 2022  gennaio 29 Sabato calendario

Hirst ha sooo fatto finta di vendere il teschio di diamanti

L’opera più costosa di un artista vivente? Languisce in una cassaforte di Hatton Garden, il quartiere dei gioiellieri di Londra. È lì che da anni riposa il teschio tempestato di diamanti realizzato da Damien Hirst. Nel 2007 l’artista e la galleria White Cube ne avevano annunciato la vendita per 50 milioni di sterline, un nuovo primato in un mercato che ai tempi viveva un momento d’oro. For the Love of God — questo il titolo della scultura – è invece ancora di proprietà di Hirst, White Cube e alcuni investitori privati. 
«Tutti accettano il fatto che un dipinto, la cui realizzazione non costa praticamente nulla, possa essere venduto per cifre infinite», ha sottolineato Hirst con un tocco di frustrazione al New York Times in occasione della prima mostra a lui dedicata nella metropoli statunitense dal 2018. «Come possono credere in una cosa ma non un’altra?», ovvero nel valore vero e tangibile di un’opera realizzata con materiali costosissimi (oltre a 8.601 diamanti, il platino). 
Già all’epoca la notizia della transazione aveva destato qualche sospetto. L’acquisto – era stato annunciato – era avvenuto in contanti. Il nome dell’acquirente non era stato reso noto così come non erano state fornite prove concrete della vendita (nessuna ricevuta). Pochi giorni prima, tra l’altro, l’Art Newspaper aveva scritto che Hirst e la galleria stavano cercando di liberarsi dell’opera a un prezzo scontato, 38 milioni di sterline, mentre alcuni gioiellieri avevano messo in dubbio la tesi dell’artista, secondo il quale i materiali erano costati 15 milioni di sterline: massimo 8, nonostante tutti quei diamanti. Il teschio aveva fatto comunque incetta di pubblico. Era stato esibito al Rijksmuseum di Amsterdam, a Palazzo Vecchio, a Firenze, alla Tate Modern, nel Qatar e a Oslo. 
Se non proprio una bugia la vendita era solo, a essere generosi, una mezza verità: sicuramente non aveva danneggiato la reputazione di un artista che, lanciato sul campo internazionale all’inizio degli anni 90 dal suo celebre squalo in formaldeide, ha spinto i parametri dell’arte verso orizzonti sempre nuovi, da Madre e figlio (divisi), quattro bacheche con una mucca e un vitellino tagliati a metà, ai tesori pseudo-archeologici esposti a Venezia, dai pallini ai fiori di ciliegio recentemente mostrati a Parigi. Le sue opere figurano tra le collezioni più rinomate, da François Pinault alla Fondazione Prada, gli Emiri del Qatar, la Deutsche Bank. Poco dopo la storia del teschio, un’asta da Sotheby’s aveva raggiunto un nuovo record vendendo 223 opere per un totale di 111 milioni di sterline: una cifra mai raggiunta prima per un singolo artista. La vendita-non vendita di For the love of God, allora, si può definire una trovata pubblicitaria? 
Se Hirst non è estraneo all’autopromozione, non ne ha necessariamente bisogno: le sue opere – inusuali, spesso scioccanti, come A Thousand Years, la testa di una mucca piena di mosche – sono l’espressione di un artista a volte contestato, da alcuni accusato di essere un bluff, ma mai ignorato. Come alcuni suoi colleghi, Hirst si è ora lanciato nel mondo degli Nft, i non-fungible token, certificati di proprietà di arte digitale. Con il progetto The Currency (valuta), ha messo in vendita 10.000 fogli A4 pieni dei suoi caratteristici pallini colorati. Il prezzo è di 2.000 dollari l’uno. Chi li acquista può scegliere se tenere l’opera fisica o il token digitale, che può essere rivenduto su varie piattaforme. Sembra che solo il 5% abbia optato per la versione su carta. Per Hirst è stato un esperimento «affascinante». «Ho duemila persone online che ne parlano di continuo», ha detto al New York Times. «I token sono sempre in movimento, salgono e scendono di valore. È come un culto e io sono il leader».