Robinson, 29 gennaio 2022
Ritratto dell’artista cubana Tania Bruguera
«La verità anche a scapito del mondo», la storica risposta di Hannah Arendt a Gunter Gaus nel talk show Zur Person da lui condotto sulla tv della Germania Ovest nel 1964, viene ora ripresa come titolo dall’artista e attivista Tania Bruguera per la sua mostra al Padiglione d’Arte Contemporanea (Pac) di Milano (fino al 13 febbraio). Scolpita nella pietra, iconica, attuale questa frase, pronunciata dall’autrice de La banalità del male, il libro derivato dall’incarico del New York Times di seguire il processo al criminale nazista Adolf Eichmann, introduce il visitatore in mostra accompagnandolo nella prima sala vuota dove campeggia una vecchia sedia a dondolo in legno, una di quelle che ci si immagina di trovare delle case delle nonne che ormai non esistono più.
Il pubblico è invitato a sedersi sulla sedia, a dondolarsi e cullarsi leggendo Le origini del totalitarismo della Arendt come niente fosse. Con quest’ingresso netto, politico, radicale Tania Bruguera entra in argomento facendoci sperimentare in prima persona la stridente contraddizione fra le tragedie che si consumano quotidianamente sotto i nostri occhi e l’agiatezza, spesso l’indifferenza di noi che stiamo a guardare. Dietro la sedia a dondolo c’è una bandiera dell’Unione Europea con fili spinati ricamati a mano da tre sopravvissuti all’olocausto, scampati ai lager nazisti di Auschwitz e Mauthausen, a ricordare anche i chilometri di fili e barriere di varia natura costruite da diverse nazioni europee oggi; a iniziare dalla Grecia per impedire l’ingresso dei profughi siriani, all’Ungheria, la Bulgaria, e altre ancora. Per sottolineare la condizione drammatica e disumana in cui versano i migranti contemporanei di ogni parte del mondo dagli Stati Uniti all’Europa.
Cubana, nata a l’Avana nel 1968, figlia di Miguel Brugueras, diplomatico e ministro del governo di Fidel Castro, Bruguera, che come primo atto di ribellione a diciotto anni modifica il suo cognome, ha vissuto da adolescente a Parigi, in Libano, e a Panama, per tornare a studiare all’Instituto Superior de Arte de la Havana, e poi alla School of the Art Institute of Chicago. Il suo interesse si è sempre rivolto a un’arte attiva e politica, per cui conia il termine “artivismo”, un’arte che ha lo scopo di incidere sulla società e sulla politica a livello personale e collettivo. È ciò che fa al Pac di Milano, dove accanto alla sedia a dondolo c’è un microfono collegato con altoparlanti all’esterno del museo, che può essere usato da chi legge per amplificare e diffondere il messaggio alla città.
L’intera mostra, a cura di Diego Sileo, sviluppa un pensiero critico e attivista a partire dai temi del potere, della censura e del controllo, mentre riflette su dittatura e democrazia, razzismo e immigrazione. Lo scopo di Bruguera, che ha all’attivo mostre in importanti musei internazionali e un invito alla Documenta di Okwui Enwezor a Kassel nel 2002, è includere il pubblico e i cittadini nell’esperienza estetica e politica dell’arte. Così al Pac l’artista che ha insegnato alla University of Chicago, e allo Iuav di Venezia, ci fa entrare in una sala buia dove siamo abbagliati da fari potentissimi all’altezza degli occhi, che siamo costretti a chiudere o a rivolgere a terra, mentre sopra le nostre teste sentiamo passi di marcia e terrificanti scatti meccanici che non possono non evocare lo spettro della ricarica di armi. Qui la dinamica della performance è decostruita e il performer è il pubblico che sperimenta direttamente opera dopo opera stati contrastanti, vulnerabilità e ribellione, rabbia, impotenza e sconforto, coscienza critica e consapevolezza. Attraversando sale buie e abbaglianti, ambienti saturi di sostanze che fanno lacrimare gli occhi, una galleria pervasa dall’odore acre della canna da zucchero si arriva in una sala illuminata solo dalle scintille della fiamma ossidrica. Qui un performer lavora a una copia in scala 1:1 dell’insegna dell’ingresso di Auschwitz che riporta la tragicamente nota frase: «Il lavoro rende liberi». Sta distruggendola o riparandola?