Robinson, 29 gennaio 2022
Gaetano Azzariti, il fascista per tutte le stagioni
Il passaggio dal fascismo alla Repubblica investe il nesso tra continuità e discontinuità: il prevalere di persistenze del passato o l’affermazione di percorsi di rottura. In anni ormai lontani Claudio Pavone aveva collocato tale questione cruciale lungo un crinale composito: il profilo istituzionale del cambiamento, il peso delle resistenze e dei rapporti di forza, la centralità delle traiettorie biografiche come punto di osservazione privilegiato. Una sorta di sfida alla storiografia fondata sui percorsi di vita di uomini e donne alle prese con la lunga traversata che dal ventennio conduce alla democrazia repubblicana. In questo spazio alcune figure diventano emblematiche e centrali, persino al di là delle traiettorie personali e dei sentieri della ricerca storica. Un volume recente riempie con intelligenza e rigore metodologico un vuoto segnalato da decenni da diversi studiosi riconducibile alla complessa parabola di un magistrato che attraversa con continuità e successi buona parte del Novecento italiano (Massimiliano Boni, In questi tempi di fervore e di gloria. Vita di Gaetano Azzariti, magistrato senza toga, capo del tribunale della razza, presidente della Corte costituzionale, Bollati Boringhieri, 2022).
Gaetano Azzariti entra in servizio nei primi anni del secolo, diventa segretario per la revisione dei codici delle colonie e stretto collaboratore di ministri di punta nei decenni dell’Italia liberale. Nel periodo fascista il salto di qualità nel rapporto con lo Stato: direttore dell’ufficio legislativo, consigliere di corte d’appello e presidente di sezione della Cassazione. Contribuisce alla stesura della legislazione discriminatoria e razziale del 1938 assume il ruolo di presidente del tribunale della razza. Nella «terra di mezzo», seguendo l’efficace partizione del volume, Azzariti ricopre il ruolo di ministro di grazia e giustizia nel governo Badoglio. Sottoposto ai procedimenti di epurazione rimane in servizio, per tornare a un ruolo chiave nel ministero che aveva lasciato poco tempo prima. Nel 1957 viene nominato giudice della Corte costituzionale della Repubblica e l’anno successivo, fino alla sua morte nel 1961, presidente della Consulta. Una carriera ai vertici di un fine giurista capace di attraversare stagioni diverse della storia del paese. Rimane in sella inamovibile e promosso pur portandosi dietro macchie, contraddizioni e connivenze di regime. Il volume sovrappone la vita del magistrato alla storia d’Italia in una continua proposta di prospettive ravvicinate, sguardi in filigrana, giudizi interpretativi. Le polemiche sulle strade e i busti intitolati ad Azzariti diventano una chiave di lettura per uscire da posizioni precostituite indagando le fonti, la documentazione, il rapporto tra la storia e la memoria nella «costruzione e sgretolamento di un mito». Si parte dal funerale del 7 gennaio 1961 per riavvolgere il nastro di una vita tra tornanti e contraddizioni, luci ed ombre di un passato che ci appartiene. La persecuzione anti ebraica assume un ruolo centrale: leggi proposte, votate, firmate e messe in atto da una burocrazia di Stato efficiente e capace. Quel nesso tra continuità e rotture si piega verso l’obbedienza incondizionata alla legge e alle sue prescrizioni che diventano strumenti potenti in mano ai persecutori. Fare i conti con il fascismo, attraverso i percorsi di vita? L’autore non si sottrae alle domande più complesse: «La sua storia richiama la necessità, ripresa più volte nel corso degli ultimi decenni, di chiarire reticenze e amnesie; ad esempio di come era stato possibile cominciare minacciando di epurare tutta l’Italia e si finì per nominare presidente della Corte costituzionale un uomo che era stato presidente del tribunale della razza». Nelle considerazione conclusive di Boni il peso di un passato che riesce ancora a condizionare: «È credibile la figura di Azzariti quale silenzioso difensore del principio di legalità? Può essere. Ma, seppure, di quale legalità si sta parlando? Da Antigone legalità e giustizia non sono termini inscindibili. In definitiva della storia di Azzariti – che per lunghi tratti è la storia del nostro Paese – resta una carriera, che per quanto contraffatta nei ricordi ufficiali, è stata costruita anche attraverso la zelante esecuzione e ideazione della macchina legislativa fascista ». Pesano le parole di Leone Ginzburg: «Ritengo che la pura tecnica giuridica, al di là dei valori etico politici, esista solo nei gradini più bassi. Più si sale e meno è possibile che l’atto tecnico rimanga puramente tecnico, non si colori di qualcos’altro».