la Repubblica, 29 gennaio 2022
Il Colle e l’eterno ritorno dei franchi tiratori
Oh, eccoli, finalmente! «I franchi tiratori – diceva Andreotti con involuta equanimità – sono la mala pianta di cui ci si rallegra quando si manifesta in ausilio alle proprie tesi e si demonizza negli altri casi». Vecchia storia: “Mezzi tecnici” per Moro, “pugnale, veleno e franchi tiratori” tradusse Donat Cattin. Non c’è epopea presidenziale che non ne contempli l’azione insieme tossica e sanguinolenta, eppure avvincente e rivelatrice.
Casellati se n’è chiamati addosso una settantina, più o meno quanti nel 1992 fermarono l’ascesa di Forlani mettendo a morte, dentro l’apposito catafalco, la Prima Repubblica. Con la dovuta approssimazione – per certe faccende non si va dal notaio – i 101 di Prodi hanno accelerato la fine della Seconda. Questo per dire l’importanza dei franchi tiratori, detti anche, in significativa coerenza con la fantasia nazionale: predatori dell’urna, cecchini, pugnalatori, onorevoli-lupara e così via.
Non stupisce che Capitan Salvini, davvero poco incline allo studio della storia, ne abbia sottovalutato la continuità; ma è stupefacente che abbia ignorato quanto il fenomeno costituisca una formidabile, irresistibile e prolungata risorsa narrativa, per giunta innescando ogni volta una scia di sospetti e rancori che prima logorano le alleanze e poi le portano alla dissoluzione. Oltretutto, un tempo c’era anche la disciplina di partito, mentre oggi, a partire dai leader, l’individualismo è sacro, dal che ciascun parlamentare si sente più libero di votare come gli pare e piace, senza nessunissimo senso di colpa. Nel caso specifico, e più ancora nell’era del vuoto ideologico, Casellati stava davvero molto antipatica a un sacco di gente perché si dava arie, trattava male i sottoposti ed era considerata eccessivamente ambiziosa. Per cui: zàcchete!
Quanto al numero di quelli che hanno affossato il suo sogno quirinalizio, di quali partiti, tribù, cerchi magici, e secondo quali giochi e rimbalzelli politici, non è proprio un dato secondario, ma quasi. In linea di massima e con le dovute eccezioni fin dagli albori la mannaia dei franchi tiratori punisce chi già sta in alto, chi si prende troppo sul serio e chi senza ritegno agogna la suprema carica. Il Conte Sforza, per dire, “che portava la sua testa come il Santissimo in processione”, il superbo e ricco Merzagora, il grintoso e autoritario Fanfani. Si aggiunga che dal punto di vista del racconto giornalistico, un inconfessabile sadismo consente al gentile pubblico non pagante di gustare appieno la caduta rovinosa, la mortificazione conclamata, l’incauta presidente del Senato che dopo il voto scende dalla mega tribuna “sostenuta a braccio da un’assistente” e così via.
Si tende infatti a dimenticare che a volte Montecitorio diventa un mattatoio e la corsa verso il Colle una vera e propri cerimonia cannibale non solo ai danni dell’illustre sconfitto di turno, ma anche di chi l’ha mandato allo sbaraglio (vedi Bersani con Prodi). In questo senso i franchi tiratori sono sì dei Giuda che approfittano dell’anonimato, ma anche un’appassionante variabile delle dinam iche politiche, ciò che rende il potere precario e la vita pubblica un tantino più varia. Con tale premessa, e sempre sforzandosi di mantenere le distanze dai misfatti, si dirà che possono considerarsi gli ospiti scomodi della democrazia, se non proprio il sale della medesima, come qualcuno ha puntualmente ricordato ieri. Comunque, a partire da domani, un enigmatico contropotere con cui andranno fatti i conti.
Il mistero e la segretezza di questo esercito invisibile alimentano da sempre una leggenda entro la quale, in confuso assortimento, si rispecchiano calcolo e gioco, coscienza e vendetta, ma anche riflessi anarcoidi, frustrazione, sentimentalismi e cupio dissolvi. Se apocalisse, in greco antico, vuole dire togliere il velo, nulla in politica è più apocalittico dei franchi tiratori. Dopo un mese e più di circo e manfrina, ieri almeno si è vista un po’ di realtà.