la Repubblica, 29 gennaio 2022
Lo schianto di Elisabetta Casellati
Lui bluffava. Lei forzava. A ogni costo. «E senza avere neanche l’ airbag», chiosa il gruppetto di berluscones lasciando il Transatlantico, mentre sul monitor scorrono le facce di Matteo Salvini ed Elisabetta Casellati. E sarà anche cinismo da corridoio, ma diventa subito storia di quest’avvilente vigilia il doppio schianto che – ieri mattina, quinto scrutinio – lascia a terra il Capitano della destra senza direzione e la presidente del Senato senza prudenza.
Quanti traditori per la signora che si vedeva già al Quirinale. La beffa vuole che diventi la giornata delle due “Elisabetta”. Ma è la prima, e non la impenetrabile Belloni, ad attivarsi senza risparmio tra contatti diretti e indiretti, telefonate e messaggi prima di andarsi a bruciare. Sono le 14.58, il presidente della Camera legge “Casellati 382” e non sa più dove guardare.
Roberto Fico con gli occhi fissi sull’emiciclo, e Casellati con il pugno destro serrato sotto il mento e la faccia scura girata dal lato opposto. Lui con il corpo che deve dissimulare l’imbarazzo, per i ben 71 voti che mancano all’appello del centrodestra, ma anche per il fatto che la seconda carica dello Stato non abbia avuto il gusto di astenersi dalla conta del voto che la riguarda (come fece Oscar Luigi Scalfaro, in quel drammatico maggio di trent’anni fa). E lei che per tutto il tempo della conta sta a smanettare su messaggi e tastierina, addosso proprio il tailleur blu che aveva il giorno dell’elezione in cima al Senato: stesso taglio asimmetrico di giacca dalla prima volta di una donna a Palazzo Madama alla prima volta sul Colle? E pazienza se la scaramanzia (a Padova come altrove) serva – quasi sempre – più a ovattare disfatte che a facilitare trionfi. È la vittoria dei franchi tiratori, di quelli che hanno votato per Berlusconi (8), per Tajani (7), e per Mattarella (46), questi ultimi quasi tutti spalmati tra Forza Italia, “totiani”, centristi sparsi. Eppure, incredibile, lei vuole essere rivotata anche al sesto scrutinio. Devono fermare il gioco, dirle “no guarda”.
Ci credeva eccome, Maria Elisabetta Alberti Casellati, la “pasdaran” di re Silvio, l’avvocatessa cresciuta politicamente all’ombra del vecchio “doge Galan”, poi diventata amica sia di Nitto Palma – l’ex ministro della Giustizia (che oggi è il suo capo di gabinetto), l’ex pm dagli emendamenti facili in favore dello scudo salva-parlamentari – sia del collega e sacerdote dei processi dell’ex Cavaliere, Niccolò Ghedini. Versione lady dei falchi, sempre in trincea con loro: sia quando credeva alla versione di Ruby nipote di Mubarak, sia quando scese a protestare, nel marzo del 2013, sotto Palazzo di Giustizia a Milano contro i pm che avevano messo sotto processo Berlusconi per il caso della minorenne marocchina, e ancora, quando entrò in aula vestita a lutto nelle ore della decadenza del suo ex premier dal Parlamento, esattamente 8 anni fa, 27 gennaio del ‘14.
«È dalla notte che arrivano i messaggi, voto Casellati, molte chat squillavano anche all’alba di ieri», vuota il sacco uno dei centristi, quando si sente più sicuro a un tavolino. Casellati arriva prima delle dieci, sorridente e tesa, «ciao presidente, continuiamo a chiamarti così, dopo?», ma lei sbuffa, caccia via l’ossequio, ma intanto fa qualcosa che lascia di stucco. Nonostante sia candidata di lì a una manciata di minuti, presiede la “capigruppo” per favorire la nascita del nuovo nucleo da cui possono giungere voti: è “Costituzione Ambiente e lavoro”, simbolo Idv, a guidarlo Elio Lanutti, ex 5S, da tempo nel gruppo Misto. Ma il senatore svicola: «Non commento». Tutto sotto gli occhi di tutti. Con il leader Salvini che, poco dopo, a scrutinio in pieno corso apre la conferenza stampa e preme sul tasto Casellati, «Vorrei capire perché ora si dice no a una donna dall’alto profilo» – con lei lì, che guarda il cellulare e passa le schede della conta. Al banco. Da cui vanamente il Pd aveva chiesto che si astenesse. Tutto dentro una sgrammaticatura istituzionale che diventa pratica: anche esibita.
La situazione precipita verso la débâcle, il Capitano e Lady Senato travolti. Fatti i conti, mancano 59 voti per arrivare ai 441 astenuti della chiama di giovedì, e complessivamente 71 rispetto ai 453 grandi elettori del centrodestra. Meloni attacca ma non sembra minimamente sorpresa: «C’è nel centrodestra chi ha apertamente lavorato contro la Casellati». Salvini alza le mani: «I 208 voti della Lega sono andati compatti alla Presidente». Si sfilano. Girano in chat nomi e aree dei presunti traditori. Con un velo di ironico “razzismo”spiccano i meridionali. A votare Berlusconi sarebbero stati i campani Sarro, Pentangelo, De Siano e Cesaro, alias il pluriinquisiti Giggino ‘a purpetta? Il senatore e avvocato Sarro è garbato: «Non diciamo sciocchezze: io e i colleghi abbiamo scritto Casellati». Stessa diceria per il calabrese Canizzaro. «È stata informata male, e la presidente Casellati poteva farcela». Poco più in là, un loro collega allarga le braccia: «Ma ci sono larghissimi settori del Parlamento ormai fuori controllo».
Più i numeri vacillano, più si azionano (vani) muri e lucchetti, gli alleati si erano contati usando l’antico metodo, le trascrizioni diverse: la Lega mette giù “Casellati”, i totiani di Coraggio Italia si firmano “Alberti Casellati”, Fdi e Nci scelgono “Elisabetta Alberti Casellati”, Fi e Udc vanno su nome e cognome secchi “Elisabetta Casellati”. Quel nome declinato in ogni formula: per poi scoprire, a sera, l’epilogo che sembra l’ultimo affronto. C’è sempre una donna in pista, ma è l’altra Elisabetta.