Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  gennaio 29 Sabato calendario

Rimedi contro la paura

Dilatazione delle pupille, accelerazione del battito, sudorazione, con una scarica di adrenalina e altri ormoni e molecole utili a una perfetta coordinazione delle risposte muscolari, neuromotorie e cognitive. È un sofisticato cocktail neurochimico a farci scattare in allerta e a farci provare paura. Questa emozione primordiale è una modalità difensiva altamente evoluta e affinata da milioni di anni di selezione naturale. «Siamo i discendenti di una lunga linea di antenati impauriti che sono riusciti a sopravvivere ai predatori. Possediamo una serie magnificamente assortita di adattamenti antipredatori, tra cui risposte chimiche, neurologiche, comportamentali e fisiche esordisce Daniel Blumstein, biologo comportamentale dell’Università della California a Los Angeles, nel suo ultimo saggio Paura. Lezioni di sopravvivenza dalla natura selvaggia, in cui, disseminando qua e là un’infinità di suggerimenti di lettura, racconta l’origine evolutiva delle nostre reazioni di paura e perché importa conoscerla.
Il rallentamento del battito, la cosiddetta bradicardia, è una comune reazione di spavento e sarebbe da far risalire nientemeno che ai pesci, i quali si mettono così al riparo dagli squali, abili rilevatori di battiti. Un altro esempio è un fenomeno comune a moltissime specie di pesci e mammiferi, dalle arvicole artiche agli spinarelli, e riguarda la trasmissione alla prole della paura provata in gravidanza. I nuovi nati saranno più spesso in allerta e avranno elevati livelli di cortisolo anche in ambienti meno rischiosi di quelli in cui ha vissuto la madre. Analogamente nell’uomo, lo stress cronico durante la gestazione incide sul neurosviluppo del nuovo nato, portando a difficoltà emotive e comportamentali.
La paura è uno stato psico-fisico costoso e sottrae risorse fisiche e cognitive ad altre attività, impedendole. «La paura ha il costo delle opportunità mancate» scrive Blumstein. In un’ottica di economia delle risorse, la strategia vincente è rispondere alle minacce con il minimo del tempo, dell’energia e delle risorse necessari. A metà strada tra «la prudenza non è mai troppa» e «chi non risica non rosica». Certo, i rischi che siamo disposti ad accettare dipendono dal contesto e dai benefici ottenibili, ma darsi comunque e sempre alla fuga non va bene e neppure il non percepire correttamente la paura, come mostrano curiosi casi clinici neurologici che hanno portato alla scoperta dei circuiti neurali sottostanti.
I principali protagonisti sono l’amigdala, una rilevatrice di minacce, e la corteccia prefrontale, implicata nella loro valutazione, e il dialogo costante tra le due. Come confermano questi meccanismi biologici altamente conservati, la paura è ubiquitaria e non eliminabile, per cui non ci resta che imparare a gestirla. «L’allenamento e la consapevolezza della nostra risposta evolutiva forse sono utili a farci cambiare comportamento» ritiene Blumstein dopo trentacinque anni di studi sul campo, dalle marmotte dalla coda lunga del Karakorum nel Nord del Pakistan a 4200 metri di altitudine, ai wallaby delle rocce sull’altopiano di Atherton in Australia.
Oltre ad esserci una propensione innata a rispondere a una serie disparata di segnali visivi, acustici e olfattivi, la paura si può apprendere e ciò favorisce l’adattamento flessibile all’ambiente. Le risposte immediate che scatena sono però efficaci contro un predatore all’attacco e un po’ meno contro le minacce più sottili che alcune specie devono affrontare, noi inclusi. Si pensi ai fattori di stress sociale legati alla perdita degli alleati e dello status sociale o economico, tutti problemi complessi in cui la causalità è meno diretta e che richiedono strumenti più sofisticati. Come il ragionamento: «La natura delle minacce che affrontiamo ci dà il tempo di una valutazione del rischio delle nostre scelte».
Purtroppo, non siamo bravissimi nel farlo, per via dei nostri bias cognitivi, che facilitano comportamenti compensatori fuori luogo. Ad esempio, dove tutto è reso sicuro o è assicurato, dalla pratica dello sci ai trasporti aerei, aumenta il livello di rischio che siamo disposti a correre. «Come le marmotte», dice Blumstein, «quando pensiamo di avere il controllo della situazione, in realtà diventiamo troppo sicuri di noi». Inoltre, una sovraregolazione delle risposte fisiologiche di paura attiva dei meccanismi per sottoregolare i processi. Quindi, se le minacce moderne non ci danno tregua, l’equilibrio si inceppa, la paura non si placa e diventa stress cronico e ansia. E può portare individui e collettività a decisioni inadatte e a scelte distruttive. Ma sapere che la paura viene da così lontano è anche confortante, per Blumstein è «un tesoro ereditato», «una potente alleata», che se ben calibrata può guidarci lontano dal pericolo verso nuove opportunità. Ma attenzione perché la paura determina importanti cambiamenti nelle strategie di sopravvivenza delle specie. In questo delicato equilibrio dinamico, ecosistemi interi possano essere alterati anche solo dall’ingombrante presenza dell’uomo.