Linkiesta, 29 gennaio 2022
La profezia di Fiorello e Crudelia Casellati
Matteo. Vieni qui, Matteo. Su, non ti faccio niente. Matteo Salvini, siediti, parliamo. Cos’è successo, come dicevano i Lùnapop (scusa se alzo il livello intellettuale rispetto alle tue abitudini): sei cambiato, non sei più lo stesso. Quello che gli altri ridevano ma lui non sbagliava un palleggio: che fossero le felpe con le scritte o il tonno sottomarca, tu assomigliavi all’orrendissimo paese reale, prerequisito per governarlo.
Poi è arrivato il Papeete, e non sei più stato lo stesso. Adesso speravamo fossi tornato in forma, ma no, hai puntato su Elisabetta ed è stata una di quelle scene strazianti dei film americani, in cui il protagonista punta i suoi ultimi mille dollari sul rosso, ed esce il nero.
Non che tu le donne le abbia mai sapute scegliere – ricordiamo quella fidanzata che s’autoscattò mentre le dormivi nudo addosso e pubblicò l’istantanea dopo che v’eravate lasciati, roba che se la facesse un uomo con una foto della ex chiederemmo l’ergastolo – ma non fino a questo punto, santiddio, non la Crudelia Demon del nordest, eddài, essù, Matteo.
Elisabetta. Bettina? Lisa? Lisetta? Come ti chiamano quelli che stavi messaggiando durante lo scrutinio? Elisabetta Casellati, lascia che ti spieghi il problema dei messaggi scritti: non concedono contemporaneità d’azioni (multitasking, dicono quelli che hanno fatto inglese alle medie e temono ci dimentichiamo cotanto curriculum).
È la ragione per cui, a quelli che dicono «ah io i vocali per carità», bisogna sputare in un occhio: ma secondo te io posso perdere minuti a digitare cose che posso dirti in dieci secondi di vocale? Pensi di valere tutte queste attenzioni? No che non le vali, e poi sono quasi prima carica dello stato: mentre mi passano le schede, talune delle quali recano il mio nome, al massimo posso mandarti un vocale per dirti che no, non ho ancora finito, no, non lo so cosa c’è per cena. Certo non te lo posso scrivere, che poi mi filmano mentre agito i ditini irrequieti e sembro poco concentrata sul mio ruolo istituzionale, ma soprattutto non in grado di portare a termine un compito minimo quale mandare un messaggio, figuriamoci essere a capo delle forze armate. Bocciata come commander in touchscreen, che umiliazione.
Corrado, dove sei? Corrado Guzzanti, il paese ha bisogno di te. Il paese ha bisogno di te sempre, ma specialmente quando, all’ora del brunch del venerdì (stiamo passando le giornate feriali davanti alla tv, tanto vale fare il brunch come fosse domenica), pare che Crudelia Casellati possa diventare presidente della repubblica; il che significherebbe che Conte ha fatto le corna a Letta. Il paese non ha, in trent’anni, prodotto per questo scenario una colonna sonora che superi la tua «Se io ti amo e tu mi ami veramente, la nostra storia non è molto interessante. Se invece ti detesto e neanche tu mi ami, vieni e sarem la coalizione di domani».
Se Conte vota la candidata di Salvini, mi spiegano strateghi di mia frequentazione mentre intingo il guanciale nello sciroppo d’acero, il governo cade. E il paese non ha, in trent’anni, prodotto per questo scenario una colonna sonora che superi la tua «Sciogliamo le camere, per un mondo migliore, sciogliamo le camere, con i caschi blu».
Mario, guardami in faccia. Mario Draghi, parlo con te. Così pirata, così signore. Così diverso da questi derelitti da cui siamo usi a farci governare. Così non generone romano. E poi vai a incontrare Matteo in una geolocalizzazione d’alto bordo come le traverse di via Veneto? Ma tu neanche hai Instagram, ma io mi aspettavo tu fossi l’ultimo rimasto a riuscire a veder la gente di nascosto, ma che postmodernismo, ma che delusione.
Clemente, mi manchi. Clemente Mastella, con l’uovo sodo in tasca che spieghi ridanciano a Mentana che quello è l’uovo di Colombo, che favoloso showman sei, mentre scrivo non ti vedo da venti ore e mi manchi moltissimo, non è che Benigni ha liberato una serata sanremese e puoi sostituirlo tu? Sono certa che avresti la sua benedizione, tra giganti dello spettacolo ci si riconosce.
Rosario, a proposito. Rosario Fiorello, mica credevi mi fossi dimenticata di te. Tu lo sai che l’origine di questo pasticciaccio brutto sei tu, vero? Tu lo sai che questi sciamannati non troveranno la quadra e continueranno io voto scheda bianca allora io mi astengo allora io voto il portinaio del mio stabile allora io Pertini allora io Pippo Pluto e Paperino, lo sai che continueranno ben oltre questa settimana, sì?
Tu te lo ricordi che l’anno scorso, quando pareva che il festival successivo sarebbe stato postpandemico, e quindi più facile da gestire, e quindi condotto da qualche fortunato che – diversamente da te e Amadeus – non si sarebbe dovuto smazzare il teatro vuoto e il resto dei limiti strutturali, te lo ricordi tu cosa dicesti su quel palco, sì?
Te lo ricordi il tuo «vi deve andare malissimo», che mi fece tanto ridere (io più incosciente di te)? Te lo ricordi l’anatema che lanciasti su chiunque avesse condotto nel 2022, te lo ricordi l’auspicio, te la ricordi la previsione che si sarebbe chiesto tutto il tempo chi gliel’aveva fatto fare? Ecco, Rosario, siam gente di mondo, siamo per il reale e il razionale, certo non siamo superstiziosi (io avevo una babysitter calabrese che toglieva il malocchio con l’olio nell’acqua, ma mi piace credere d’essermi evoluta rispetto alla mia infanzia). Però, adesso che m’immagino il festival in un angolino della prima pagina dei giornali, perché in un qualche giorno festivaliero hanno infine eletto uno straccio di qualcuno al Quirinale, e a quel punto in prima pagina mica metti una gigantesca foto di Drusilla, adesso mi chiedo, Rosario, se ogni tanto, mentre la notte Amadeus coi sudori freddi ti messaggia più spesso degli interlocutori della Casellati, se ogni tanto a quell’anatema ci ripensi.