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 2022  gennaio 29 Sabato calendario

Il futuro di Ita spiegato da Alfredo Altavilla

Una sorta di cartina di tornasole delle problematiche dell’Italia. Un concentrato dei difetti, delle distorsioni e per contro delle enormi potenzialità del paese. Questa è la storia di Alitalia, la compagnia di bandiera. Ma Alitalia non c’è più, anzi ci sarà di nuovo, completamente diversa: costruita sul principio fondamentale che una società deve avere, la generazione di ricchezza; un obbiettivo non solo di chi la possiede ma anche di tutti coloro che vi lavorano.
«Sì, è così, quando il presidente Draghi mi ha affidato l’incarico, lo abbiamo stabilito. Nella sua storia Alitalia è stata tutto meno che una società impostata e gestita per creare ricchezza. Oggi, Ita è impostata per svolgere la funzione prima di una spa e il segreto è semplice. Tutti i suoi lavoratori, compreso il sottoscritto, hanno il 15% del loro compenso salariale legato all’andamento della società».
Alfredo Altavilla, braccio destro di Sergio Marchionne nel salvataggio straordinario della Fiat, è naturalmente soddisfatto di aver impostato la nuova vita della compagnia di bandiera non solo con la razionalità del profitto ma anche con l’altra componente essenziale, una proprietà privata, e soprattutto italiana.
«Ciò che in passato non aveva funzionato era stato il business model dell’Alitalia; non era quello di creare un’azienda che sapesse stare sul mercato guadagnando e offrendo un prodotto competitivo. L’Alitalia ha sempre avuto la missione di essere un po’ la stanza di compensazione delle inefficienze, considerata più come un datore di lavoro che non come un generatore di profitto e dove l’obiettivo della profittabilità era assolutamente secondario. Purtroppo, tutto questo si è scontrato con il fatto che il mercato, soprattutto quello domestico, a un certo momento è stato liberalizzato. E un’azienda che non sapeva stare sul mercato perché non aveva un obiettivo di profitto, conseguentemente non controllava i suoi costi e quindi ha perso in pochissimi anni il 75% di quota di mercato a favore delle low cost. Certo, perché dovrebbe essere diverso oggi? Perché Ita nasce con la dimensione ottimale, ridotta di personale e di costi associati. Nasce con l’ambizione di non sfidare le low cost ma di offrire un prodotto diverso e in linea con quello dei carrier tradizionali. Dovrebbe funzionare perché l’attenzione al profitto è un obiettivo condiviso non dal management ma da tutti i lavoratori, dal primo all’ultimo. Perché per la prima volta è stato introdotto un contratto di lavoro dove il premio di risultato, che vale il 15%, è agganciato a un obiettivo di redditività dell’azienda e a un parametro di soddisfazione del cliente. Quindi se non siamo in grado di soddisfare le attese delle azionista e di soddisfare le attese del cliente, nessuno di noi, dal primo all’ultimo, guadagnerà un premio di risultato e questo è un cambiamento epocale rispetto alle gestioni passate».
Ma, in quanto tale, comunque resta compagnia di bandiera, che porta in giro per il mondo l’Italia. Mentre le deviazioni del passato l’hanno fatta essere dello stato, sia pure quotata in borsa, poi di imprenditori e banche italiane con azionista di riferimento la compagnia di Abu Dhabi…
«La scelta virtuosa, che è stata fatta prima di tutto dal governo Draghi e poi da me e i miei collaboratori, era di costituire una newco. Una newco che avesse a fondamento certo un nuovo contratto di lavoro ma soprattutto non avesse legami col passato; quindi, che potesse liberarsi di tutti quei condizionamenti di cui neanche le gestioni privatistiche dell’Alitalia erano riusciti a liberarsi. Perché si è sempre deciso di andare in continuità, quindi si sono cercate quelle che nelle scuole di management si chiamano le ottimizzazioni incrementali. Quindi cerchiamo di migliorare dello 0,1. È la ricetta che non funziona mai nelle aziende e anche negli stati perché se tu insegui il +0,1 è matematico che finisci con -10 e non sono mai state cercate le discontinuità, che poi sono quelle che fanno il successo delle grandi trasformazioni aziendali».
Sarebbe una ricetta buona anche per l’Italia… E lei ha trovato chi condivide il progetto ed è pronto ad acquistare la maggioranza di Ita-Alitalia…Il grande armatore Gianluigi Aponte da Sorrento.
«Guardi, il presupposto strategico con cui ho cercato mesi fa di immaginare il futuro di questa compagnia è stato quello di evitare che alla prossima, non auspicata, crisi del trasporto aereo italiano, Ita faccia la stessa fine di Alitalia cioè che in caso di crollo il traffico dei passeggeri crolli la compagnia. Quindi il principio strategico è stata la costruzione di una rete di sicurezza, che si costruisce soltanto con un portafoglio di prodotto che non è più soltanto trasporto passeggeri ma che anche cargo e anche charter. Anche perché in questo momento il cargo è il settore di trasporto aereo più profittevole in assoluto. L’esplosione del commercio online e le interdipendenza tra le varie regioni del mondo hanno creato un business cargo che continuerà a essere fondamentalmente in crescita. Per un buon futuro, quindi, l’arrivo del gruppo Aponte serve a portare a Ita questa rete di sicurezza del business cargo e del business charter-crocieristico, con nello stesso tempo un partner come Lufthansa, che ci dà invece tutte le sinergie di costo derivanti dal fatto di essere un operatore che ha una flotta dieci volte più grande della nostra e quelle sinergie di network che ci consentiranno di coprire molte più destinazioni rispetto a quello che è ragionevolmente avremmo potuto coprire con i nostri 52 aerei di oggi, che diventano 105 nel 2025. Mi pare una scelta forte e razionale mettere assieme tre operatori: un operatore piccolo come Ita ma anche compagnia di bandiera di un paese che è il mercato più grande d’Europa per numero di passeggeri, quindi il più grande operatore cargo al mondo nonché uno dei più grandi operatori crocieristici al mondo e, infine, il più grande vettore aereo europeo che ha un’alleanza mondiale con United per coprire l’America del Nord».
Se questa analisi la si applica alle problematiche del paese, laddove non c’è una capacità autonoma, occorre assolutamente cercare collaborazioni. È anche il pensiero del presidente Draghi quando dice, anche rispetto alla Cina, che la linea è cooperazione nella competizione. Il sistema Ita ne appare un’applicazione….
«Certo, specialmente se abbiamo anche la fortuna che il gruppo Aponte contribuisce a preservare l’italianità della compagnia in uno schema di collaborazione con un altro vettore straniero. Italianità che ovviamente sarebbe parzialmente o totalmente venuta meno senza Msc, che offre il dna italiano alla compagnia».
Come siete arrivati ad Aponte: un’iniziativa da parte loro o da parte vostra…
«Conosco la famiglia Aponte da quando mandavo in giro per il mondo con loro le automobili di Fiat-Chrysler… Ma la cosa interessante è che quella che all’inizio sembrava una scommessa azzardata, cioè mettere insieme tre operatori diversi, alla prima videoconference è diventata invece certezza di solida intesa. L’intesa tra Gianluigi e Diego Aponte da una parte e Carsten Spohr, l’amministratore delegato di Lufthansa dall’altra, ha immediatamente creato in 10 minuti accordo sui principi che ho espresso. Per questo, dopo 10 minuti ho capito che qualcosa di importante si poteva fare: strategicamente tutti e tre, ma soprattutto loro due, hanno visto il potenziale di questa di collaborazione…».
Quindi vale ripeterlo, dove nel paese c’è debolezza bisogna che il paese vada a cercare partnership internazionali, per quanto possibile, conservando l’italianità dell’attività, per conservare le qualità del paese. Non le voglio far dire niente sul caso di Telecom. Non so se quando fu fatto il famoso nocciolino duro per la privatizzazione, lei fosse già in Fiat. Quella formula è stata un disastro. Stet-Sip era il leader in Europa ed era stato il primo a fare un piano fibra. Oggi si è corso il rischio che due società straniere, Iliad e Vodafone, si mettessero insieme sul mercato italiano. Tutti i paesi importanti hanno conservato, se non il controllo, l’incolumità della società fondamentale nelle telecomunicazioni, con annessi e connessi…
«Certo, sarebbe stato veramente un paradosso che due società straniere riuscissero a fare consolidamento in Italia in un settore strategico e che l’Italia glielo avesse lasciato fare. Certo, lo spread sui Btp soffre anche per queste debolezze».
Lei ha evidenziato come il cargo merci vada a tutto gas per l’esplosione dell’e-commerce. Le do un dato molto interessante, che mi ha trasmesso ieri il professor Mario Rasetti, che forse lei conosce essendo stato a lungo a Torino. Una ricerca serissima ha accertato che il 97% di proposte di acquisto fatte da Amazon senza richiesta, con il trasportatore che suona alla porta, vengono accettate. Vuol dire che Amazon sa tutto di noi, appunto anche di che cosa abbiamo bisogno e che fa arrivare anche senza ordine. Soltanto il 3% dell’offerta non richiesta viene respinto. Vuol dire che comunque oggi siamo in un mondo in cui anche Ita-Alitalia avrà bisogno di sapere con i dati che cosa i clienti hanno in testa e che viaggi vogliono fare.
«La digitalizzazione è una delle grandi direttrici di trasformazione rispetto alla vecchia Alitalia. È un punto importantissimo l’utilizzo e la corretta gestione dei Big Data, innanzitutto per il business dei passeggeri, per intercettarne le preferenze di viaggio, per cercare di arrivare a una gestione integrata dell’esperienza di viaggio. Noi stiamo lavorando a un unico biglietto per tutti i mezzi di trasporto che il turista che viene in Italia debba prendere. Anzi questo è più di un pensiero perché abbiamo già siglato una partnership con uno dei portali più importanti di pacchetti turistici per offrire sul nostro sito i nostri servizi ai viaggiatori del resto del mondo, che con un solo click possano pianificare ogni minuto della propria vacanza. Dal lato del trasporto cargo, i big data sono fondamentali per l’ottimizzazione dei carichi e delle rese: quindi questo salto di digitalizzazione rispetto alla vecchia compagnia di bandiera è un salto quantico perché purtroppo quello che noi abbiamo trovato è una situazione certo molto, molto indietro. Non si può sottacere.
Ma il servizio a bordo di Alitalia era nettamente superiore anche a Lufthansa. Food and Wine italiano, utile per il paese… Alitalia ambasciatrice dello stile italiano…
«Stiamo lavorando e questo si vedrà a partire da giugno, a cominciare dai nostri voli di lungo raggio. Il progetto l’abbiamo chiamato Welcome to Italy che vuol dire che non appena si mette piede nell’aereo è come se si entrasse in Italia. Si vedrà dalle cabine e dagli arredi... L’Italian touch e poi l’esperienza a bordo fatta di collaborazione con tutti i più grandi chef italiani per cercare di apportare un contenuto distintivo; per la fornitura dei prodotti abbiamo e avremo una collaborazione con tutte le aziende italiane più importanti per cercare di offrire anche con innovazioni mai tentate prima a bordo dei voli di lungo raggio, un’esperienza puramente italiana».
E il personale di bordo?
«Abbiamo fatto la prima rilevazione Net Promoter Score due settimane fa, che ha evidenziato un miglioramento del 60% rispetto alla performance migliore di Alitalia realizzata nel 2019. Questo vuol dire che le persone stanno lavorando meglio di allora, perché hanno capito l’importanza di questa opportunità e che il loro lavoro da un lato contribuisce a dare un’esperienza migliore ai clienti, dall’altro ha una ricaduta sulla loro busta paga».
Certo, lei ha portato in Ita l’esperienza fatta nel rilancio della Fiat con Sergio Marchionne…
«Almeno ci sto provando… Adesso il piano strategico che porto in approvazione lunedì 31 è fondamentalmente ancorato agli stessi cantieri di quello che avevamo presentato alla Commissione europea a luglio. Sì, è chiaro che la possibilità di questa alleanza con Msc e Lufthansa apre delle possibilità nuove. Cominceremo non appena riceveremo la luce verde da parte del governo sulla concessione dell’esclusiva. Cominceremo a ragionare sul nuovo Piano integrato tra tutti e tre gli operatori».
Quanto pagherà Aponte?
«Diciamo, mi passi la battuta, che questa è la prima volta che lo stato italiano ci guadagnerà con la compagnia di bandiera».
Non rientra nel Pnrr, ma il metodo Ita può servire anche al Pnrr…
«È esattamente questo il punto. Il Pnrr basa il suo successo o il suo fallimento su un set di regole che deve essere definito ad hoc per la sua l’implementazione. Con le regole attuali, sarà molto difficile attuare tutti questi programmi. Serve un modus operandi nuovo, privatistico, per la gestione di questi fondi con un tracking dei vari progetti che deve essere feroce. Ma l’esperienza del Ponte Morandi dimostra che quando lo Stato vuole è capace anche a gestire i progetti con un tracking simile ai privati. Però deve cambiare la modalità di gestione dei progetti, altrimenti restano sulla carta o diventano spalmati su decenni, per cui si perde tutto il possibile impatto sulla crescita stabile del Paese».