il Fatto Quotidiano, 29 gennaio 2022
Intervista al chitarrista Slash
Otto minuti nell’aldilà. 1992, San Francisco, quasi l’alba. Slash, il chitarrista dei Guns N’Roses, si accascia davanti all’ascensore dell’hotel. Overdose di speedball, il mix letale di cocaina ed eroina. Di quella notte, la rockstar ricorda tutto, prima e dopo. Era morto. Può descriverti i paramedici, i suoni “amplificati”, il ritorno dall’Oltretomba. L’aereo preso per continuare il tour, il giorno dopo. “Sono stato fortunato, fu come nella scena del malore di Sharon Stone in Casino”. Una vita al limite, gli è andata meglio di altri. Savannah, una delle ex fidanzate, era una pornostar. Una notte, drogata fino all’anima, ebbe un incidente. Tornò a casa e si sparò. Slash le dedicò una canzone. Lui si è salvato più volte: nel 2001 gli hanno impiantato un defibrillatore nel cuore. Cinque anni dopo ha smesso anche di bere. Oggi, cinquantaseienne, diresti abbia fatto un patto col diavolo. Il nuovo album solista 4 (uscirà l’11 febbraio) inciso come al solito con Myles Kennedy (frontman degli Alter Bridge) e i Conspirators è un potente ordigno rock. Ultimarlo (per la neonata etichetta Gibson, quella delle chitarre) è stata un’avventura. “Partimmo per Nashville diretti allo studio RCA, dove alle pareti trovi i ritratti dei tipi tosti del country. Johnny Cash, Waylon Jennings, Charley Pride. Le leggende ti dicono: che cazzo ci fai qui?”.
Una sfida. “Il rivale era il covid. Io e la band ce lo siamo presi, tutti. Dovevamo lavorare separati e in tempi diversi, ognuno alle prese con la quarantena. Tornati negativi, via con i pezzi nella stessa sala, live, buona la prima!”. Sperando di portare il fuoco sacro del rock in tour già a breve, con i Conspirators, perché in estate l’agenda di Slash segna gli stadi d’Europa con i Guns N’Roses, insieme a quell’altro stuntman dell’esistenza che è Axl Rose. “Se c’è il via libera saremo a Milano, San Siro, 10 luglio. Abbiamo già avuto mille limitazioni per la tournée negli Usa, un casino. È pur vero che poche band internazionali affrontano l’estero, il pubblico ha fame. Il mondo ci manca!”. Come fai a tenere ai box un resuscitato? Uno che ne ha viste di ogni sorta? Come quando fu ospite di Bob Dylan, 1991. “Produzione di Don Was, l’album Under the red sky. Imparai una grande lezione”. Perché? “Mi chiesero un assolo su un boogie blues, Wiggle wiggle. Io eseguii, Bob mi disse: ‘Bello! Parevi Django Reinhardt’. Potevo credergli? Due giorni dopo, Was mi spedì il missaggio grezzo: mi si sentiva solo strimpellare la ritmica acustica, il tappeto per la mia parte elettrica. Ok, Don, dov’è il resto? Lui: sai, Dylan ha deciso che suonava troppo Guns N’Roses, lo ha tagliato!”. Brutto colpo. “Però da Bob incontrai George Harrison e pure quella gnocca di Kim Basinger. Chissà cosa ci faceva lì”. Collaborazioni solo con grandi firme, per Slash. “Il mio manager mi informa che Michael Jackson mi vuole nel nuovo disco. Riappendo e mi chiama Jacko, è la sua inconfondibile voce. Volo in studio per lavorare su Give in to me, trovo soltanto il produttore. Michael finalmente fa capolino: è con Brooke Shields. Dopo due minuti se ne vanno a cena. Morale: fai quel che devi, Slash. Più in là partecipai al video di Black or white diretto da John Landis, con Macaulay Caulkin. A lungo è girata la voce che il riff in Black or white fosse mio, ma quella chitarra è di Mike Bottrell”. Slash fu coinvolto nel tour di Dangerous: in scena prendeva a calci (per finta) Michael. “Mi avevano detto: qualunque cosa accada tu continua a suonare. Jacko si avvicinava per farmi smettere. Ballando. Emanava luce propria. Nelle coreografie tutti facevano gli stessi passi, Michael ci metteva una magia segreta in più”.
Vasco Rossi giura che nel 2007 vi siete incontrati nello studio di Los Angeles dove l’italiano era alle prese con Il mondo che vorrei. “Naah. Il giorno in cui suonai la mia parte su Gioca con me Vasco non era lì. Ci sentimmo al telefono”. Nel nuovo album 4 la chitarra di Slash emula, in certi punti, Eric Clapton. “Sono un fan. Suonai con Eric a una jam session con Ron Wood degli Stones. Clapton mi dette una pacca sulla spalla. Il maestro promuove l’allievo”.
E Johnny Depp, arruolato nel supergruppo Hollywood Vampires con Alice Cooper e Joe Perry degli Aerosmith? È scarso? “Salii sul palco con Joe e i Vampires al Roxy di L.A. Dai, Johnny se la cava, con la chitarra. Ci crede, almeno. Sui dischi non si capisce quale sia lui, è un punto a favore”. C’è poi la storia del piccolo Slash e di sua madre Ola Hudson che faceva la costumista per David Bowie e ci finì a letto. “Era dopo Ziggy Stardust, mamma studiava look sensazionali per lui. Io avevo dieci anni, David era carismatico, intelligentissimo, cool. Siamo rimasti amici, venne a sostenere noi Guns N’ Roses alle prime armi. Sì, vidi nudi Bowie e mia madre. All’epoca era sposato con Angela. Che gli era sempre intorno. Quel giorno no”.