la Repubblica, 28 gennaio 2022
Aborto, il sorpasso della pillola sulla chirurgia
Erano altri anni. In quel 2005 il ministro alla Salute era Francesco Storace e chi cercava di introdurre anche in Italia la Ru486, in particolare la Toscana e il Piemonte, era ostacolato in tutti i modi. Alla fine però il muro cedette (a Pontedera, in provincia di Pisa) e la pillola abortiva già diffusissima in Paesi quali la Francia venne ammessa anche in Italia. Oggi, 17 anni dopo, il farmaco tanto discusso è diventato in molte grandi Regioni il primo sistema usato per abortire, mentre la chirurgia è diventata minoritaria.
Ma un po’ in tutto il Paese, a fronte di uno ormai storico calo delle interruzioni di gravidanza, si osserva una crescita dell’uso della Ru486. A trainarla ora è certamente anche la pandemia. Il medicinale infatti permette di non tenere le donne in ospedale e di non usare le sale operatorie. Un altro passaggio molto importante è stata la decisione del ministro della Salute, Roberto Speranza, che nell’agosto del 2020 ha permesso la somministrazione della pillola anche senza ricovero e fino a 9 settimane dal concepimento.
Ad aver raggiunto e superato il 50% c’è la Toscana, dove si stima che nei primi sei mesi del 2021 gli aborti farmacologici abbiano rappresentato il 55% dei casi (contro il 44% del 2020 e il 39 del 2019). Anche l’Emilia-Romagna è certamente oltre la metà, visto che nel 2020 ha toccato il 48% ( il 42% del 2019). Tre anni fa il Piemonte si avvicinava già al 50% mentre la Liguria era al 44%. A quel tempo nelle strutture sanitarie liguri si facevano 1.162 aborti con la pillola, l’anno dopo si è saliti a 1.331 e nel 2021, fino a novembre, a 1.557. Visto il calo generale delle interruzioni di gravidanza, è certo che ormai il farmaco viene usato in oltre la metà dei casi.
La Puglia è la realtà del Sud con i numeri più alti. Se nel 2019 era arrivata al 32%, negli anni del Covid ha fatto un importante passo in avanti, giungendo nel 2021 al 47,6%. Le strutture sanitarie della Lombardia nei primi anni sono state poco inclini a prescrivere la Ru486 e ancora nel 2019 l’uso era residuale, intorno al 13%. Ebbene, nei due anni successivi le cose sono cambiate in modo significativo. In tutto il 2020 si è saliti al 31% e nel primo semestre del 2021 addirittura quasi al 40%. Ma dati in crescita sono segnalati un po’ ovunque, anche nel Lazio, che a fine 2020 ha autorizzato la somministrazione della pillola nei consultori.
Quando saranno disponibili i numeri del 2021 ci saranno sorprese. Nel 2019 la Ru486 rappresentava circa il 25% degli aborti a livello nazionale. Forse la media non raddoppierà ma visto quello che succede nelle Regioni potrebbe andarci vicino.
Valeria Dubini è la vicepresidente di Sigo, la società scientifica di ginecologia e ostetricia. Dirige a Firenze una struttura dove ogni anno si fanno 700 interruzioni di gravidanza, il 70% delle quali farmacologiche. «A parte il Covid e le indicazioni del ministero – spiega Dubini – è soprattutto cresciuta la consapevolezza culturale che è la pillola più sicura per la salute delle donne». Anche per questo non si tornerà indietro. «Ormai ha imparato ad usarla anche chi aveva resistenze, sia tra le donne che tra i colleghi. Molti erano preoccupati dagli effetti collaterali». Che sono pochi. «Da noi – spiega Dubini – capita nell’1% dei casi di dover fare il raschiamento perché la pillola non ha funzionato, mentre nel 2-3% delle donne ci sono disturbi come la nausea, che si controllano con i farmaci». La ginecologa non vuole sentire parlare di banalizzazione dell’aborto: «La paziente è molto consapevole del percorso, lo vive passo passo. E infatti la Ru486 non va bene per tutte».