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 2022  gennaio 28 Venerdì calendario

Intervista a Nicole Kidman

«Sono passati vent’anni. Certo, mi piacerebbe vincere, già sono contenta che se ne parli, era da anni che non succedeva». Quattro candidature agli Oscar, una sola vittoria, The Hours di Stephen Daldry, nei panni impegnativi di Virginia Woolf. Era il 2003.
Ma quest’anno Nicole Kidman spera in un bis per un ruolo che, come quello della grande scrittrice, ha accettato con riluttanza, per timore di non farcela. Quello di Lucille Ball in Being the Ricardos di Aaron Sorkin al fianco di Javier Bardem, per cui ha vinto il Golden Globe. Al telefono dalla sua casa australiana, Kidman non fa finta che non le interessi: «Ho dedicato la mia vita al cinema, alla recitazione, a girare il mondo alla ricerca di storie da raccontare, a supportare i registi. È la mia passione, sono stata molto fortunata a farlo per così tanto tempo». Quarant’anni. Ha cominciato giovanissima, in curriculum ha una novantina di film, oltre alla tv e all’attività di produttrice. «Con Aaron e Javier, ci siamo detti: “Siamo arrivati fino a qui, e salteremo dal tetto insieme”. Vedremo come va».
Sembra essersi divertita parecchio nelle scene brillanti, come quella in cui pigia l’uva. Più commedie all’orizzonte?
«Ne sarei felice. Ora sono in Australia a prendermi cura di mia madre, che non sta molto bene. Sto con mio marito, le mie figlie, non sto lavorando adesso, vivo la mia vita normale. Ma mi piacerebbe tanto fare qualcosa di divertente, è liberatorio. Quando ho visto il film con il pubblico e li ho sentiti ridere, è stata la sensazione più bella che potessi provare. È qualcosa che non conoscevo bene, faccio più spesso ruoli drammatici. Con la pandemia è ancora più importante. E il nostro film va in profondità, parla di resilienza, ispirazione, capacità di gestire il fallimento e rialzarsi, far nascere un successo da ogni fallimento».
Lucille Ball era un’attrice, fondò la sua compagnia di produzione, la Desilu, cercò la quadra tra lavoro e famiglia, aveva un marito musicista. Le suona familiare?
«Mi sono sorpresa nel trovare così tante cose in comune con lei, in cui potermi immedesimare tra vita privata e carriera. È stata una pioniera, non c’erano molti comici, figurarsi comiche. Voleva creare una compagnia di produzione, ma non c’era nessuno a cui ispirarsi, nessuna lo aveva fatto prima. E poi la sua relazione con il matrimonio, con Desi, davvero una grande storia d’amore, dal punto di vista creativo e romantico. Hanno avuto dei problemi, come molti altri, e non ha funzionato alla fine, ma è quello che chiamerei un matrimonio di successo per ciò che hanno creato, la loro arte e i loro figli».
Ha iniziato a recitare a 14 anni, ha tenuto testa ai più tosti registi del mondo, a partire da Stanley Kubrick. Non le è venuta voglia di mettersi al loro posto?
«Ho visto al lavoro i più grandi, conosciuto la loro ossessione, la loro energia, so cosa vuol dire essere un regista. Ho due figlie che sto crescendo, mio marito, la mia carriera da attrice e produttrice, e penso di non avere quella cosa lì. Non ho l’occhio, semplicemente non è la mia passione. Cerco di fare attenzione a come impiego il mio tempo, è davvero prezioso. Faccio al meglio la mia parte, recitare».
Nel 2002 ha fondato la sua casa di produzione, si aspettava che la tv avrebbe dato grandi soddisfazioni con serie come «Big Little Lies» o «The Undoing»? Ora avete in cantiere «Roar» e «Expats»...
«Sinceramente no, è stata una sorpresa vedere quanto la tv sia diventata forte, come riesca a intercettare pubblico diverso in tutto il mondo. Quando si riesce a tenere il livello del cinema, è una grandissima opportunità per registi, attori e scrittori. E sono moto fiera che siamo riusciti a far lavorare le persone durante la pandemia, anche se è molto stressante. Abbiamo trovato modo di raccontare storie, contro ogni previsione. I film, gli show sono ripartiti, magari in maniere diverse, ma sono ancora lì. Lo trovo davvero molto toccante, perché le storie e l’arte, non verranno mai fermati. Sono felice di esserne parte».
Parla spesso di amicizia e sorellanza. Con Jane Campion siete legate da decenni.
«Mi pare da sempre. Lei conosce molte cose, è un’amica saggia. È molto curiosa, entrambe amiamo l’Italia, ci abbiamo passato tantissimo tempo, è così bello anche solo camminare a Roma. Condividiamo idee, arte, filosofia, mi ha fatto scoprire Elena Ferrante abbiamo un’amicizia davvero profonda, è la cosa che importa. Mi sento davvero di ringraziarla. Questa è la vera bellezza del nostro lavoro. Non è solo per un film, ma un viaggio insieme per tutta la vita».
Ama l’Italia, dice. E il cinema?
«Anche. Vorrei tantissimo lavorare con un vostro regista. Luca, Paolo (Guadagnino, Sorrentino, ndr), io ci sono».