Corriere della Sera, 28 gennaio 2022
Intervista a Emanuele Filiberto
«Non è un atto ostile verso l’Italia, tantomeno verso il premier Draghi. Ha tutta la stima della famiglia Savoia e personalmente ricordo di aver già affrontato con lui il tema dei gioielli anni fa».
Emanuele Filiberto, parla con il Corriere dopo il fragore delle rivendicazioni dei gioielli di Casa Savoia custoditi nel caveau della Banca d’Italia dal giugno 1946. Mentre si compie l’esito del referendum Monarchia-Repubblica, re Umberto II, prima di partire per l’esilio a bordo di un Savoia Marchetti, li affida al ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, che li consegna all’allora governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi (poi presidente della Repubblica), con la dicitura «a chi di diritto». Frase che nei decenni ha scatenato gli interrogativi.
Non è un atto ostile, ma il timing – come giustamente osserva oggi Gian Antonio Stella sul «Corriere» – non poteva essere peggiore. Il 27 gennaio, giorno della Memoria con tutte le responsabilità storiche di Casa Savoia. E mentre l’Italia, ancora nella morsa della pandemia, vota il suo nuovo presidente della Repubblica.
Perché rivendicare proprio adesso il diadema della regina Margherita, diamanti, perle a goccia, spille, due grandi bracciali, un chocker, una rivière di brillanti e molto altro?
«Mah l’attualità presenta sempre un qualche contesto difficile. E capisco che l’Italia attraversi anche momenti particolarmente complessi per la pandemia, per la crisi sociale. Ma non è una decisione dell’ultimo minuto, è stata maturata con calma».
Quando? La famiglia si è riunita come in genere ha fatto a Natale per anni, per tradizione... e avete deciso di agire adesso?
«No, nessuna riunione di famiglia quest’anno. Da tempo stavamo valutando la mossa, si sono parlati mio padre con le sorelle. E hanno affidato all’avvocato Sergio Orlandi l’incarico di mediare».
Gli eredi di Umberto II e Maria José – suo padre Vittorio Emanuele e le sorelle Maria Pia, Maria Beatrice e Maria Gabriella – di nuovo uniti. Dopo anni di litigi.
«Su questa battaglia la famiglia è molto unita. Anche perché a 75 anni da quel 1946 era tempo di venire allo scoperto per chiedere indietro quanto è di Casa Savoia».
Dei Savoia o dello Stato italiano?
«Dei Savoia. Non chiediamo indietro nulla agli italiani, solo la restituzione di beni privati di famiglia. Come è stato restituito negli anni alle ex famiglie regnanti di Jugoslavia o Bulgaria, persino agli eredi degli zar».
Non chiediamo nulla agli italiani, solo la restitu-zione di beni privati Come sono già stati restituiti alle ex famiglie regnanti di Jugoslavia o Bulgaria, persino agli eredi dello zar
Il dibattito è aperto: il tesoro di gioielli in Bankitalia sono gioie della Corona o private? Come lo proverete?
«Sono gioielli ricevuti come dono di nozze, o acquistati dai Savoia o ricevuti come donazione. Tant’è che la XIII disposizione transitoria finale che ha avocato allo stato altri beni di Casa Savoia non ne parla».
Bankitalia ha respinto il tentativo di mediazione, rispondendo che non spetta a Via Nazionale decidere, ma alle istituzioni della Repubblica. E adesso cosa farà?
«Andiamo avanti».
Avete dato un ultimatum di 10 giorni prima di adire «le competenti Sedi Giudiziarie, per i diritti spettanti agli eredi»?
«No, nessun ultimatum ma continueremo con una causa legale. Certo avremmo sperato in un buon esito della mediazione».
A quell’incontro di mediazione, nel centro di Roma, non lontano da Montecitorio dove si vota per il tredicesimo presidente della Repubblica, i rappresentanti della Banca d’Italia hanno incontrato lei e l’avvocato Orlandi. È stato delegato dalla famiglia? E fin dove porterà la battaglia dei gioielli?
«Fino alla Corte Europea, se necessario. Andiamo avanti per le vie legali ma non è un atto ostile, avrei di gran lunga preferito una mediazione... Ho il massimo rispetto delle istituzioni e della figura di Draghi. Anzi ricordo che già al tempo dei Giochi invernali di Torino 2006 anche la regione Piemonte s’interessò per esporre a Torino i gioielli. Da Bankitalia non ci furono questioni, ma tutto si bloccò perché serviva il nullaosta della presidenza del Consiglio».
Mesi fa, quando anticipò al «Corriere» l’intenzione, prima o poi, di rivendicare i gioielli disse che sarebbe onorato se li indossasse una nuova presidente della Repubblica. Se dovesse essere una donna.
«L’importante è che dopo averli tenuti sotto chiave per 75 anni tornino alla luce. Ma prima che ce li restituiscano, poi decideremo in quale forma renderli di fruizione pubblica».