Corriere della Sera, 28 gennaio 2022
L’Ucraina dei simboli: dalle 1.320 statue di Lenin abbattute alla rivendicazione di Gogol’ passando per le 5 via Tolstoj di Kiev
KIEV «Dobbiamo festeggiare! Un anno fa oggi, buttavamo giù l’ultimo Lenin di tutta l’Ucraina». Dietro la Rada, seduto a un caffè e davanti a una cheesecake col ribes, il deputato Volodymyr Viatrovych celebra la sua personale Giornata della Memoria: il 27 gennaio 2021 a Stari Troyany, nello sperduto villaggio d’Izmail Raion, quando venne abbattuto quel che ancora restava del sovietismo.
Un monumento di granito, una monumentale grana: «Ce n’è ancora due a Chernobyl, ma non contano: sono statue contaminate e nessuno ha voglia di toccarle… Tutte le altre, via! Cancellate dalla faccia dell’Ucraina!». L’onorevole Viatrovych ne fa una battaglia personale da otto anni. «Sono stato io a far passare la legge in Parlamento», elenca fiero e preciso: «Abbiamo distrutto 1.320 Lenin e 1.069 busti di comunisti, ribattezzato 987 fra città e villaggi che portavano un nome russo, cambiato nome a 51.493 strade intitolate a combattenti, cosmonauti, artisti russi. Lo sa che a Kyiv (che poi sarebbe Kiev, ma guai a chi usa la traslitterazione russa, ndr) avevamo cinque vie Tolstoj? Io amo Tolstoj. Ma nel mondo non esiste solo Tolstoj!».
Nomen amen. Ribattezzare la storia patria e seppellire l’anti-storia del nemico è l’ultima trincea della guerra, anche di parole, che russi e ucraini si stanno facendo. Krasnoarmiisk (città dell’Armata Rossa) che diventa Pokrovsk. Dnipropetrovsk che perde il riferimento a Petrovsky, leader comunista, e si trasforma in un semplice Dnipro. Parole come apostasie. Da fine 2018, c’è una Chiesa ortodossa ucraina numero 1 riconosciuta dal Patriarcato di Costantinopoli e ce n’è un’altra, numero 2, che s’inginocchia a Mosca: hanno gli stessi riti, pregano lo stesso Dio, ma si rischia la galera a incensarne una e a bestemmiare l’altra.
Taci, il nemico ti usa: un quarto degli ucraini ha parenti in Russia, lontano dalle occasioni ufficiali molti parlano russo, eppure dall’anno prossimo il russo non sarà più materia obbligatoria nelle scuole. Da quando Vladimir Putin ha pubblicato lo scorso luglio un lungo articolo – titolo: «Sull’unità storica di russi e ucraini» – e ha sostenuto che l’identità ucraina non esiste perché c’è solo quella russa, tutti han capito perché stava ammassando truppe al confine. E che stava partendo l’invasione. E che non bastava prendere le armi: «La nostra esistenza si difende respingendo tutto quel che Putin ci vuole imporre – dice Viatrovych, che di mestiere fa lo storico —. Fino a dieci anni fa, qui comandavano i suoi. E i libri di scuola ancora descrivevano Stalin come un leader di gran cuore. Cambiare i nomi, rileggere la storia non è un capriccio: è geopolitica».
Lo sanno al di qua e al là del confine. A Mosca intimano di tenere giù le mani dal russo Tchaikovsky, del quale il Conservatorio di Kiev esalta sempre lo spirito ucraino? A Kiev rivendicano Gogol, nato in un villaggio russo che oggi è Ucraina. E avanti a litigare per Cechov, nato sul Mare d’Azov, o sul suprematismo di Malevic che spuntò a Kiev e si trasferì a Mosca… «Gogol era russo solo perché scriveva in russo? – si chiede il deputato —. E allora Kafka era austriaco, ceco o ebreo? Tutti i Paesi litigano su queste cose. La differenza è che su queste cose, qui, ci si fa la guerra». Una storia vera è sempre meno vera d’una inventata e tutto vale. A due passi da Maidan c’è il ristorante dello chef Ievgen Klopotenko e un cartello all’ingresso: «Se pensate che il borsch sia russo, la vostra vita non ha senso».