La Stampa, 28 gennaio 2022
Intervista a Cesare Cremonini
BOLOGNA
Incontriamo Cesare Cremonini nell’immensa sala prove costruita all’interno di un capannone alle porte di Bologna mentre sta mettendo a punto lo show che porterà all’Ariston giovedì sera: il suo sguardo trasmette felicità. È la prima volta, dopo 22 anni di carriera e 20 da quando ha abbandonato i Lunapop per fare il solista, che vedremo il cantautore al festival di Sanremo e nelle vesti di super ospite. Cesare sarà protagonista fra le pieghe della gara con alcune delle sue canzoni più famose e farà ascoltare dal vivo La ragazza del futuro che dà il titolo al nuovo album in uscita il 25 febbraio. il 9 giugno partirà da Lignano Sabbiadoro un tour in otto stadi italiani che si preannuncia imperdibile.
Lei ha sempre detto di no al festival, come l’hanno convinta?
«Per lungo tempo ho pensato di dover aspettare la canzone giusta e poter dire “è all’altezza del palco del Festival di Sanremo”, ma ho realizzato quanto ogni mio brano sia un frammento della mia vita, una storia che merita di essere raccontata per intero. Penso che la parola super ospite sia nella tradizione di questo grande festival ma non mi sento tale, anzi. Credo di essere al pari dei grandi artisti che sono in gara, alcuni di loro sono patrimonio della nostra storia musicale: Morandi, Ranieri, Zanicchi, Rettore, Elisa».
Che cosa vedremo?
«Uno spettacolo creato apposta per lo spettacolo, Amadeus mi ha dato il massimo della disponibilità. Sono convinto che la musica possa ripartire attraverso l’energia di questo grande evento. Il nostro mondo è umiliato e smarrito, abbiamo bisogno di Sanremo».
Da sempre attorno o durante il Festival accadono eventi importanti. Quest’anno l’elezione del Presidente della Repubblica ma si ricordano le dimissioni di Papa Ratzinger o nell’88 la finale interrotta per la vittoria di Alberto Tomba alle Olimpiadi di Calgary.
«Sanremo è davvero lo specchio del Paese e spero che il sentimento di speranza, lo sguardo verso il futuro, la voglia di un nuovo corso, siano le cose più condivise rispetto al futuro Capo dello Stato. Le nostre emozioni sono spesso scosse da eventi diversi e penso che ci vorrebbe un supporto psicologico per la pressione che sopportiamo vivendo di questi tempi».
Lei ha raggiunto il successo a soli 19 anni e di pressione se ne intende. Che prezzo ha pagato?
«Pago il prezzo mettendo anima e corpo in quel che faccio, discutendo con me stesso tutti i giorni. Non ho mai avuto padroni e scelgo il mio destino in maniera autonoma, affidando la comunicazione alle canzoni. I miei 40 singoli, da 50 Special a PadreMadre, Il comico, Le sei e ventisei fino a Poetica sono stati la scala per salire dove sono arrivato. Se riesci a far coincidere le scelte musicali con il centro della tua comunicazione hai fatto gol e credo di esserci riuscito».
La sua ritrosia nei confronti delle telecamere è nota. La vita privata, un mistero.
«Passare tre giorni con me a Bologna o in giro per l’Italia è molto divertente. Faccio la vita che ho sempre sognato, semplice, di provincia. Amo il contatto fisico, cerco di mettere insieme persone che mi piacciono e condividere il mio tempo. Seguire la MotoGP in giro per l’Europa, organizzare feste dove si balla solo twist Anni’60. “Il mio mestiere è vivere la vita” diceva Mogol con la voce di Battisti, per me è vivere cercando di rivelare quei segreti che si sono stancati di rimanere nascosti».
È vero che per scrivere Tutti vogliono essere Robin ha rischiato la vita?
«Mi sono messo sulle spalle l’incapacità di comunicare di intere generazioni e so che suona un po’ ridicolo ma quando cerchi di riversare su un foglio quello che gli altri provano, rischi di andare al manicomio: ho rischiato».
Ha 41 anni, l’età per pensare a una famiglia.
«Riguardo al concetto di famiglia provo felicità per i figli di Ballo (il suo amico d’infanzia e bassista, ndr), di Valentino Rossi che è uno dei miei migliori amici e sarà padre a breve, ma per me c’è ancora tempo. Mio papà mi ha avuto a 55 anni e mamma ne aveva 22, vorrei chiudere il cerchio dentro di me prima di affrontare la normalità di una famiglia. E poi la mia mania di controllo è un impedimento nei confronti dell’ “altro” e ci devo lavorare».
Come ha preso la decisione di Valentino di ritirarsi?
«Mi sta bene se a lui sta bene. Con Vale ci vediamo spesso, è una persona positiva, onesta, per bene. Stare con lui è bellissimo. Sono un bolognese un po’ pigro, lui è energia pura».
A proposito di Bologna, quest’anno è il decennale della morte di Lucio Dalla. Una volta lei ha detto: tra i cantautori bolognesi sono stato il solo a non cadere nella sua rete. Quale?
«Lucio è stato ed è un imperatore della nostra città ed era impossibile non ruotare intorno al suo carisma e al suo potere. Negli anni in cui sono esploso sono stato il primo artista bolognese partorito dalla mia città e non da lui. Con Lucio ho sempre cercato di avere un rapporto di grande stima senza mai lasciarmi inglobare, ma l’ho amato talmente tanto da voler fare un film su di lui del quale sarò regista e sceneggiatore. Stiamo già lavorando e inizierò a girare dopo il tour negli stadi».
Impossibile non parlare del fenomeno Måneskin.
«Ho vissuto quello che stanno provando in un’età vicina alla loro e riconosco la gioia del sentire il vento in poppa con tutti i significati che ha. Provo piacere quando guardo il loro essere Glam Rock e vorrei conoscere il chitarrista, è quello che mi intriga di più. Adoro che si piacciano mentre fanno quello che piace agli altri, ma da adesso in avanti la strada diventa davvero dura».
Sulla sua carta d’identità alla voce professione c’è ancora scritto «clown» come quando era nei Lunapop?
«No, non più». —