La Stampa, 28 gennaio 2022
Estratto di Il maialino Natale, l’ultimo libro di J.K. Rowlings
Ho una tartaruga di pezza che mia madre mi ha cucito quando avevo sette anni. Il guscio è a fiori, la pancia rossa e gli occhi sono di feltro nero. Anche se la mia tendenza a perdere le cose è nota, sono riuscita a conservare quella tartaruga attraverso molti traslochi, addirittura da una nazione all’altra. Mia madre è morta più di trent’anni fa, quindi ormai ho vissuto più a lungo senza di lei che con lei. Quella tartaruga mi è di conforto più delle foto di mia madre, che ormai sono talmente sbiadite e datate che non fanno che sottolineare da quanto tempo non c’è più. Quello che mi consola è la permanenza dell’oggetto che ha creato: la sua natura immutabile, la sua imperturbabile realtà tridimensionale. Darei via molte delle cose che posseggo pur di conservare quella tartaruga, con la sola eccezione di quegli oggetti dotati di un proprio potere allusivo, come la mia fede nuziale.
La cosa più preziosa che ho smarrito, quanto meno in senso strettamente monetario, è un paio di spettacolari orecchini di diamanti, vinti molti anni fa a un’asta di beneficenza. Nonostante fossero bellissimi, erano pesanti e le clip si erano rivelate straordinariamente dolorose da portare, tanto strette da farmi pulsare i lobi. Li indossai per un evento formale a Londra e li trovai così scomodi che a un certo punto me li tolsi discretamente per metterli nella borsetta. Il giorno dopo, tornata in Scozia, aprii la valigia e non li trovai da nessuna parte: erano irrimediabilmente smarriti.
Ho messo quegli orecchini scomparsi nel mio ultimo libro per bambini, “Il Maialino di Natale”, che è una storia di oggetti perduti e ritrovati, di cose amate e cose non rimpiante. Ho ritratto i miei orecchini smarriti come oggetti lussuosi e sprezzanti, come si addice a cose che esigono la sofferenza di chi li indossa in cambio della loro bellezza. Quando arrivano nella Terra dei Perduti, dove l’eroe deve andare per salvare il suo giocattolo preferito, i miei orecchini sono indignati perché non vengono trattati con il rispetto che credono di meritare. Ben presto scoprono che l’essere fatti di diamanti conta molto poco nello strano mondo in cui gli oggetti di fabbricazione umana finiscono quando si perdono, perché laggiù l’importanza di una cosa dipende da quando è veramente amata.
Può esserci una strana magia nelle cose che fabbrichiamo. Non in tutte: non nelle bottiglie di plastica o nei bastoncini cotonati o nelle batterie; ma in quelle che sono intrecciate con il nostro passato, con le nostre case, con i nostri grandi amori. Ci sono cose che sono state misteriosamente imbevute di umanità: la nostra o quella di altri.
La magia delle ‘cose’ passa spesso inosservata finché non si rompono o finché non le perdiamo. Abbiamo tazze e tovaglioli preferiti, che ci confortano con la loro familiarità e utilità; custodiamo come tesori gli oggetti sbilenchi fatti dai nostri figli all’asilo, e magari teniamo ancora con noi quei giocattoli che ci consolavano quando eravamo piccoli. “Il Maialino di Natale” è stato ispirato in parte da uno di quei giocattoli dolorosamente necessari, senza i quali dormire è impossibile: un maialino di pezza da poco prezzo, alto circa venti centimetri e con la pancia piena di palline di plastica, che era di mio figlio David.
David era affezionatissimo a quel maialino ma lo perdeva così spesso che cominciai ad avere paura che un giorno non l’avremmo più trovato. Perciò ne comprai un altro identico e lo nascosi. David aveva tre anni quando andò a rovistare nel mobile dove avevo messo il gemello del suo maialino e lo tirò fuori, un po’ confuso. Poi dichiarò che quello era il fratello del suo e li tenne entrambi. Sono ancora tutti e due con noi, anche se i loro nomi sono diversi da quelli dei maialini nel libro. Solo l’abitudine di David di nascondere il suo amato pupazzo e poi di dimenticare dove l’aveva messo è presa dalla vita reale.
Tutti gli scrittori si sentono chiedere da dove arrivano le loro idee. È un sollievo poter rispondere una volta tanto, perché di solito non lo so: le idee arrivano e basta. “Il Maialino di Natale” è nato dalle mie riflessioni su cosa significa essere il sostituto di un giocattolo preferito. Ho sempre desiderato scrivere una storia di Natale, e dopo aver dato forma al sogno della Terra dei Perduti ho capito di averla trovata. Natale era lo sfondo perfetto per una storia di perdita e amore, di sacrificio e di speranza.
Ovviamente non è necessario festeggiare il Natale per cogliere quell’elemento della storia. Ogni cultura ha i suoi giorni consacrati alla festa, in cui si preparano e si consumano banchetti, quando gli adulti si impegnano più del solito, le famiglie si riuniscono e ci si scambiano doni.
"Il Maialino di Natale” esplora il profondo attaccamento a un vecchio oggetto, con tutte le sue implicazioni e significati compresi solo in parte, in un momento in cui dovremmo essere votati all’acquisto di cose nuove. Parla del viaggio di un bambino, Jack, che ha una vita familiare complicata e di conseguenza è un po’ perso anche lui, ma scopre il suo coraggio e la sua profonda capacità di amare in un mondo strano e nuovo.
Di tutti i libri che ho scritto, è quello che mi ha fatto piangere di più, perché parla di emozioni che vivono nel profondo di tutti noi. La perdita e il cambiamento sono difficili da affrontare per i bambini, ma accettare questi fatti inevitabili della vita non è molto più facile per gli adulti. Il fatto che abbia finito questo libro (a cui ho iniziato a pensare nel 2012) durante una pandemia che ci ha fatti piombare tutti in un mondo diverso e spaventoso ha avuto un significato particolare. “Il Maialino di Natale” dimostra che gli esseri umani, anche quelli più piccoli e smarriti, sono capaci di gesti meravigliosi, eroici, cruciali. È una storia in cui la speranza trionfa sulla disperazione e gli atti individuali di gentilezza provocano cambiamenti enormi e positivi.
Il giorno in cui ho finito l’editing del “Maialino di Natale” è successa una cosa molto strana. Dopo aver inviato il manoscritto definitivo alla mia editor, mi sono dedicata al compito molto prosaico di mettere in ordine una credenza. Mentre passavo in rassegna il contenuto, con la mente ancora nella storia, con Jack e le cose che avevano preso vita la vigilia di Natale, mi sono ritrovata fra le mani un’anonima scatoletta. Faceva rumore. L’ho aperta.
Ora, potete crederci o no. Non vi biasimo se non ci credete: dopo tutto, per vivere invento delle storie. Tuttavia è la verità: nella scatola, lucenti come se fossero stati appena puliti, c’erano i miei orecchini di diamanti smarriti, che non vedevo da decenni. Come siano finiti in quella scatola e in quella credenza non ne ho idea, né riesco a immaginare come abbiano fatto a traslocare con noi senza che io lo sapessi. Non capisco nemmeno come abbiano fatto a sfuggire alla mia accurata perquisizione della borsetta da sera e della valigia da cui erano spariti.
Senza dubbio c’è una spiegazione banale, anche se mi venga un colpo se riesco a immaginare quale. Seduta sul pavimento, in mezzo ai mucchi di oggetti polverosi che stavo selezionando, sbalordita dalla mia scoperta, li ho provati di nuovo. Facevano male proprio come mi ricordavo.
Ho deciso di venderli e donare il ricavato a Lumos, la mia organizzazione benefica che lavora per mettere fine al ricovero dei bambini negli istituti assistenziali. Credo che sia un buon finale per la storia dei miei orecchini: farli tornare dal loro lungo esilio più umili, e pronti a fare del bene per i bambini della Terra dei Vivi. Scriverò un biglietto per chi li acquisterà (i cui lobi delle orecchie, con un po’ di fortuna, saranno di una fibra più forte dei miei) per raccontare la loro storia, sperando che diano a quella persona lo stesso piacere che il loro ritrovamento ha dato a me.
Quante volte mi hanno chiesto se credo nella magia? Il giorno in cui ho finito “Il Maialino di Natale”, per qualche breve, straordinario istante ci ho creduto davvero. —
(traduzione di Valentina Daniele)