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 2022  gennaio 28 Venerdì calendario

Il suicidio di Luigi Tenco, 55 anni fa

“Luigi Tenco era prima di ogni altra cosa un uomo solo” disse a caldo Giorgio Gaber ricordando l’amico, morto suicida il 27 gennaio 1967. Ecco spiegato il titolo, Un uomo solo, sotto il quale Antonio Iovane snoda queste sue pagine dedicate al cantautore che a 28 anni decise di farla finita dopo la prima serata del Festival di Sanremo.
Iovane – sulla scorta delle cronache dell’epoca e di spezzoni di intervista – segue Tenco nelle sue ultime ore di vita per restituire il valore dell’uomo e dell’artista. Come a suggerire che il cantautore piemontese merita di essere scomodato non in virtù del suo tragico gesto ma per la singolarità della sua vocazione. A cominciare dal suo rovello interiore: “Io compromessi non ne ho fatti mai, con nessuno, perché non ne so fare, non riesco a venire a patti con la coscienza”.
Sebbene abbia un temperamento gioviale è altrettanto vero che questa sua intransigenza spesso si traduce in una allure quasi patibolare. Luciano Salce lo sceglie come protagonista del suo film La cuccagna perché aderente al personaggio di Giuliano, “tenebroso e incazzato col mondo intero”. Tenco si macera nell’illusione di “arrivare al grande pubblico senza sputtanarsi”. A comprare i suoi dischi sono ancora un pugno di estimatori. I sei milioni l’anno in diritti che guadagna li deve ai pezzi composti per Peppino Di Capri e Wilma Goich. Vuole tentare il salto per rovesciare il paradigma del successo: “Il giorno in cui riuscissi a farcela state pure certi che non inviterò il pubblico a volare nel blu dipinto di blu…”.
Con questo sentimento di rivalsa partecipa alla kermesse sanremese, “il regno della mediocrità, dell’assenza di pensiero, eppure seguita da milioni di italiani”. Una contraddizione forse unica nella storia della nostra musica leggera: “Farsi amare da un pubblico che disprezza”. Ciao amore, ciao è la canzone con la quale imporsi come divo. Una canzone sul disagio: “Racconta della fuga dei giovani dalle campagne verso le grandi città industriali, che tuttavia li respingono, li fanno sentire inutili, costringendoli a tornare”. Iovane lo scrive nero su bianco: “Luigi Tenco è il cantante del rimpianto, nelle sue canzoni tutto è già accaduto, non c’è niente che si possa più fare, nessuno può reagire, contrastare il destino, nelle sue canzoni sono tutti sbagliati, perdenti, sconfitti, inerti, nelle sue canzoni non resta che accettare la solitudine”.
A Sanremo è in coppia con Dalida, una delle star della canzone francese, che ha preso una sbandata per lui e che addirittura tenta di intimidire la sua fidanzata storica, Valeria. L’infatuazione di Dalida (che fatalmente si toglierà la vita nel 1987, vent’anni dopo il collega) è per Tenco un riconoscimento del suo valore. Prima che Mike Bongiorno lo chiami sul palco del Casinò per intonare versi come “In un mondo di luci sentirsi nessuno/ Saltare cent’anni in un giorno solo”, l’artista inganna il tempo leggendo Tex e scolandosi un whisky dopo l’altro. Si esibiscono frattanto Fred Bongusto, Ornella Vanoni, Johnny Dorelli. Tenco canta con gli occhi chiusi, non sorride, non va a tempo con la musica. Dalida lo rincorre nel camerino gridando al disastro. La canzone non accede alla finale. Tenco diserta la cena di rito con la Rca, la sua casa discografica, e si rifugia al Savoy, l’hotel dove alloggia.
Sono le due di notte quando dalla stanza 219 le urla di Dalida volteggiano su “un corpo inanimato in terra, gli occhi al soffitto, rivoli di sangue dalla bocca e dal naso che tagliano in due le guance”. Sanremo prosegue all’insegna di un cinico the show must go on, indifferente a un biglietto d’addio che strattona tutti i suoi protagonisti per una manica: “Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e a una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno”.
Leggere Un uomo solo di Iovane significa non solo rinnovare la memoria di Tenco, ma interrogarsi sulla natura profonda di uno star system che corre sempre il rischio di avere qualcosa a che spartire con il clima di 55 anni fa.
Nei giorni successivi alla morte del cantante un certo milieu intellettuale addirittura incrudelisce. Ugo Zatterin definisce Tenco “un fallito”, Riccardo Bacchelli scrive che “non vale la pena di spendere molte parole sulla futilità di certi suicidi”. Al funerale, in provincia di Alessandria, solo Fabrizio De André: “Non un cantante ha mandato un fiore”.