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 2022  gennaio 26 Mercoledì calendario

Intervista a Edoardo Pesce

Periferia romana, allo scagnozzo del boss vengono le stimmate: non può più menare, ma forse può fare miracoli. Venerdì su Sky Atlantic arriva la serie supernatural-crime Christian, diretta da Stefano Lodovichi, anche showrunner, e Roberto Saku Cinardi. Nel cast Silvia D’Amico, Lina Sastri, Giordano De Plano e Antonio Bannò, il protagonista è Edoardo Pesce, sulle cui tracce si metterà il postulatore del Vaticano, Claudio Santamaria.
Pesce, chi è Christian?
Un tipo molto semplice, non anela, non brama il potere, non è avido. Gli capita questo dono, e “che ci faccio?”. Ho messo caratteristiche personali, l’ironia e il cazzeggio, in questo ragazzone non cattivo, che considera il massimo della felicità che la mamma stia bene. Ha una semplicità positiva, del resto, diffido dei messia, mi sembra dividano sempre.
Anche lei si trova bene in periferia?
Sì, ma neanche troppo. Mamma era della Casilina, Tor Bella vecchia, non i palazzoni: ho avuto un’infanzia felice. Papà stava in Prati, avevo la residenza là, così ho potuto fare il Mamiani.
È credente?
In cosa?
Dio. 
È una narrazione, voi giornalisti ve ne intendete. No, a quello col triangolo e la barba no, credo piuttosto che ci sia una parte umana – quella più profonda – di religiosità, un momento di pace, di trascendenza.
E Gesù?
Un supereroe. Spero che Adinolfi si offenda, così ci fa pubblicità a gratis.
Dei miracoli di Cristo quale preferisce?
Non è che siano così serviti, eh. Poi basta che uno paghi il vino a cena e abbiamo fatto la stessa cosa… Preferisco quando Cristo ha tolto i dogmi, ha alleviato le condizioni. Oggi bisognerebbe levare le opinioni a tutti e privilegiare l’ascolto.
Lei che miracolo farebbe?
Lo scudetto della Roma, ma sembra banale. Non saprei… eliminare la fame nel mondo?
Un picchiatore con le stimmate non può lavorare, l’impedimento per un attore?
La parte del cervello dietro l’ipotalamo, quella dei ricordi e della creatività.
Le sue, di stimmate?
La mia sensibilità. Da una parte è un dono, dall’altro un handicap: quando capiti in situazioni, in contesti più cinici diventa un difetto.
Il cinema italiano è cinico?
Forse agli inizi, devi lottare, ma tocca anche agli avvocati. Devi rompere il muro del suono, se arrivi dall’altra parte trovi belle persone.
E anche dei bei film?
Io ho una recitazione naturalistica, neorealista, anche in opere omologate ed edulcorate provo a portare un po’ di verità.
Dogman di Matteo Garrone era già attrezzato.
Matteo è un autore, un artista, prima di tutto un pittore. Mi fa venire in mente Antonin Artaud e il teatro della crudeltà, o Carmelo Bene. Artaud voleva uscissimo dal teatro con un malessere, Garrone lo fa col cinema.
Per quel ruolo ha preso un David di Donatello quale migliore attore non protagonista e un Nastro quale migliore protagonista: chi ha ragione?
Il Nastro voleva essere anche un omaggio… Comunque io mi sono portato a casa il David di Spoletini (Marco, il montatore, ndr), per dire quanta importanza diamo ai premi.
Christian è un povero Cristo pasoliniano?
Direi Accattone, ha un taglio neorealistico. È quello che serve a far agganciare lo spettatore, se la serie inizia con te che accompagni tua madre a casa il pubblico si immedesima, e se riesce il gioco, se lo fai entrare nel tuo mondo, poi puoi dirgli qualsiasi cosa, le stimmate, tutto. Parliamoci chiaro, sempre intrattenimento è, non salviamo vite. Però il pubblico…
Il pubblico?
Mi interessa, mi interessa davvero. Stavo tornando dai Castelli, mi fermo a far benzina e prendere le sigarette sulla Roma-Napoli, al bancone mi guardano: “Stamo a’ aspettà Christian, eh!”. C’è attesa, e spero di non deluderla. Non è una serie tanto lecchina, non è algoritmica. Ovvio, se vedi Landscapers, butti gli scarpini dalla finestra.
Non ha un ufficio stampa, perché?
Perché i vestiti me li compro da solo.
Ha modelli nel nostro cinema?
Mi piacciono tutti, De Filippo, Mastroianni, Volonté, Manfredi, Sordi, Castellitto. E Servillo, sono innamorato de L’uomo in più: come diceva una mia amica napoletana, quando taglia il pesce alla fine e ride sembro io a vent’anni. Non a caso Toni è uguale a mio padre. E poi Elio, Germano, perché voglio vedere il lavoro, uno che faccia il lavoro.
Un film che tornando indietro non rifarebbe?
Quanto c’ha de tempo? (Ride) È da poco che posso scegliere, che le debbo dire. Mi piace lavorare, non mi son mai detto “devo fare l’attore, devo diventare famoso”, non sono uno di questi avvelenati. Il teatro mi innamorava proprio, esprimermi con il mio corpo, la mia immaginazione.
Ricordi?
Le serate off al Teatro dell’Orologio con Claudio Carafoli. Una sera c’erano quattro persone, l’altra settanta, ma la pizza dopo lo spettacolo non aveva prezzo. Non lo ha.