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 2022  gennaio 24 Lunedì calendario

Intervista a Ljuba Rizzoli

«Oggi è il giorno della rinascita. Un’altra. Non mi ricordo neppure a che numero siamo arrivati: il difficile periodo di guerra, la morte di mio marito Andrea, quella violenta di mia figlia Isabellina, la perdita dell’impero. E adesso il Covid da cui sono guarita».
Ljuba Rizzoli è appena rientrata a casa a Montecarlo, dopo un mese e mezzo di cure presso il Centro Ranieri III, nell’anticamera della terapia intensiva. «Colpa mia – racconta – ho fatto il primo vaccino e mi sono sentita forte. Continuavo a spostare la seconda dose. Ai primi di dicembre, avevo un leggero malessere poi è arrivato il peggio: mancanza di respiro».
In quel momento cosa ha provato?
«Una sensazione terribile. Dicevo tra me e me: ecco è finita. Uscivo da casa avvolta in un lenzuolo bianco e impartivo le ultime volontà a Lucia, la persona che mi segue da trent’anni, prenda carta e penna per il mio ultimo testamento. Lei mi urlava: “Ma dopo 190 miliardi di lire di debiti cosa vuol lasciare le briciole? Cosa le importa a chi andranno i gioielli e i quadri? Pensi alla salute».
Quando si è ripresa cosa ha pensato?
«Ero in una camera meravigliosa. Mi sono guardata attorno, mi sono chiesta: chi paga tutto questo lusso? Sempre Lucia: “Non si dimentichi che si chiama Rizzoli”».
Già, un cognome importante.
«Di cui sono fiera. Angelo Rizzoli, padre di mio marito Andrea, ha creato dal niente un impero: giornali, libri, arte, cinema. La domenica ci ritrovavamo a pranzo nella casa di famiglia e ricordava la sua vita difficile. “Sono cresciuto nei Martinitt, non dimentico il passato”. La tavola era apparecchiata con cristalli e candelabri, ma il menu per tutti era pane e mortadella. “Per ricordare da dove arriviamo”. E ai nipoti sottolineava: “Con tutto quello che ho costruito ci vogliono almeno cinque generazioni per distruggerlo”. Ne sono bastate due».
Quando per la prima volta ha sentito il nome Rizzoli?
«Sono cresciuta in viale Monza, media borghesia. Mio padre Pierino era impegnato nella fabbrica di famiglia di trapani, stavo soprattutto con la mamma e i miei due fratelli. I fine settimana Pierino ci portava con l’Aprilia a fare la gita. Una domenica, mi sono ritrovata a Canzo davanti a un magnifico castello e sognavo di essere la principessa di quel posto. Non sapevo che era di proprietà dei Rizzoli e ne sarei diventata proprietaria. Un luogo che ho sempre amato. Camilla Cederna che adorava i miei colpi di testa, diceva: “Diventerai noiosa da morire in questo lusso sfrenato”».
Lei, però, è approdata qui dal jet set internazionale.
«Prima sfollata in campagna per la guerra. Ho subìto la violenza del professore di scienze, una ferita che non si è mai chiusa. Ero alta, mi ha ingaggiato Jole Veneziani a sfilare nell’atelier di via Montenapoleone, punto di riferimento delle sciure milanesi. Ma ero più affascinata dal mondo culturale e letterario. Mi sono innamorata di Alfio Tofanelli, direttore di Tempo Illustrato. Purtroppo era sposato. Un giorno si presenta la seconda moglie con un figlio: “La prego, lei così bella con una vita davanti mi lasci mio marito”. Mi sono detta che non poteva soffrire a causa mia. Un distacco traumatico».
Non l’unico.
«Purtroppo no. Per distrarmi mio fratello mi portava a all’ippodromo. Un pomeriggio il mio cavallo si impunta e mi fa finire a terra. Da dietro sento: “Bela tusa devi tornare in sella subito altrimenti non ci andrai mai più”. Era il petroliere Ettore Tagliabue. Si era appena separato. Per me ricominciava una nuova vita: Parigi, Londra, Deauville. Mia madre non voleva. “Cosa te ne fai di uno così vecchio”. Tofanelli non si rassegnava: “Scappa da quel cavallaro ignorante”».
Come si sentiva?
«Mi divertivo a fare la civetta. Avevo 23 anni, il mese dopo mi trovavo sul Cristina di Onassis, con Grace Kelly e il principe Ranieri, Churchill che mi chiedeva se non mi dava fastidio il sigaro. Poi ho conosciuto Ali Khan che mi corteggiava. Edda Ciano che mi impartiva una lezione sui brillanti. “Devono essere il tuo unico grande amore. Un brillo ti salva sempre”. In quel periodo ho fatto conoscenza con il gioco: croce e delizia di tutta la mia vita. Mi ha tolto molto, ma mi ha anche aiutato. Una vera terapia per me».
E il suo primo brillante?
«Un Winston, regalo di Tagliabue. Poi, a un certo punto mi sono potuta permettere, comprando all’asta, i bauli della Maharani di Baroda».
Si dice che ha avuto più gioielli lei della Regina d’Inghilterra.
«Credo che sia vero. Ma non mi hanno portato la felicità. La fine della storia con Tagliabue è stata traumatica: l’ho scoperto in casa con la figlia dello stalliere. Sono corsa fuori urlando come una pazza e non vedendo la piscina vuota ci sono caduta dentro. Un lungo periodo al Neurologico. Non volevo più vivere. Lì, in corsia, ho rincontrato Andrea Rizzoli. Uomo meraviglioso, ironico, intelligente. In fondo, a me, non sono mai piaciuti gli uomini belli. Per casa giravano Clay Regazzoni, David Niven, Gianni Agnelli, ma non mi interessavano. Andrea, se gli arrivava qualche pettegolezzo, non faceva mai scenate. “Ljuba ho tanti problemi, non darmi altri pensieri”. Piuttosto, un uomo di grande fascino è stato Attilio Monti. O quel giornalista del Corriere che, con qualsiasi tempo, mi faceva andare ad aspettare il giornale fresco di stampa».
Ha nostalgia di quei tempi?
«Ho nostalgia delle persone. Di certi valori. Vivevo nel lusso, ma facevo una vita semplice. Andrea lavorava tutto il giorno, la sera spesso giocavamo a carte in famiglia, la domenica a bocce. Abitavo tra Milano, la casa di campagna a Sedone e Cap Ferrat nella Tour Saint-Hospice. Quest’ultima piaceva molto a mio marito. Gli dicevo “Sento che mi porta sfortuna”. Non ho visto male. Pochi anni dopo è finito tutto: crollato l’impero e Isabella non ha retto al dolore».
Qual è il momento che ricorda volentieri?
«L’inaugurazione della libreria di New York. Ero vestita di bianco con due rubini regalo del Commenda, c’erano: Jacqueline Kennedy, il sindaco di New York, Fanfani e la sua prima moglie Biancorosa che con aria invidiosa chiese a mio suocero: “Chi è quella là?”. Lui, senza peli sulla lingua: “Che le piaccia o no è la giovane e fresca moglie di mio figlio”».
Come definirebbe la sua vita?
«La più artificiale e squilibrata del mondo. Ho sofferto troppo. Da quando è mancata Isabella è cominciata la spirale distruttiva. Unica gioia rimasta Annina Rizzoli, figlia di mio marito, con la sua bella famiglia che ricorda i tempi passati. Lei, le uniche radici che mi tengono ancorata».