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 2022  gennaio 24 Lunedì calendario

Così gli ucraini si preparano alla guerra

“Bum bum”, lo sballo della techno. Bum bum, il rinculo del kalashnikov. I ragazzi di Kiev non si fermano mai: vivono a trecento all’ora, karaoke e guerriglia, ufficio e poligono, patria e “prosecco”.
Ecco Vova che balla con la bocca spalancata e le mani al cielo, in questo lembo della vecchia fabbrica di mattoni trasformata in studio musicale. Molto underground: la Kiev degli stranieri a caccia di emozioni è altrove. Qui entri solo se conosci, se sei invitato, se vai a genio alla guardia del complesso. Fumo bianco, luci rosse, il dj set che pompa forte e la torta di compleanno, è sabato stanotte e si festeggia qui dentro fino a lunedì mattina. Un ottovolante di bottiglie e libertà. “The times they are a-changin”, come cantava Bob Dylan. «I tempi stanno cambiando, e più le autorità fanno disastri – dice Vova, che di giorno campa con la comunicazione e di notte è l’anima della band Khamerman znyshchuye virusy (l’Uomo martello sconfigge il virus) – più le performance migliorano. Possiamo finalmente smetterla di essere uno stato fallito che dipende dagli altri, ora collaboriamo con Gran Bretagna e Polonia, faremo tutti del nostro meglio per salvare l’Ucraina. I militari dicono che noi civili non serviamo al fronte ma alla difesa territoriale: mi iscrivo, e se mi chiederanno di combattere lo farò».
È coinvolgendo i civili nella difesa porta a porta che Kiev – sperando nel meglio – si prepara al peggio. Forze armate e resistenza civile. «Siamo pronti per un attacco russo, ibrido o militare che sia. Non vogliamo il panico, come nel 2014 – dice Eugene Yenin, primo viceministro degli Interni ucraino – e stavolta non ci coglieranno di sorpresa. Controlliamo l’efficienza e la prontezza della polizia e della guardia nazionale, dell’esercito e delle forze speciali». Ma è con un’altra arma che il governo vuole impantanare i russi come in Afghanistan, quando i carri dell’Armata rossa furono sconfitti dal logorio dei mujaeddin. «Dal primo gennaio – dice Yenin – è in vigore la legge sulla Difesa territoriale. Le unità saranno reclutate nella popolazione civile, con il compito di difendere il Paese. Saranno formate e armate. Gli ufficiali responsabili sono già stati identificati e hanno iniziato a reclutare». “Difesa territoriale” e “Difesa civile”. Due corpi distinti, il primo per combattere una guerriglia di resistenza. Il secondo per aiutare i militari dalle retrovie.
Ivan Alieksievic, 27 anni, ingegnere specializzato in tecnologie ottiche al Politecnico di Kiev, ha già fatto domanda per la Difesa territoriale. «Mi sono presentato al centro di arruolamento, mi hanno detto di portare certificati medici e altri documenti. Li sto preparando, non voglio essere uno di quelli che scappano al sicuro. Con papà siamo stati al poligono, abbiamo portato il fucile che avevamo ma non sapevamo usare». Sabato scorso Ivan era a godersi la vita al concertone degli Zwyntar, al Mala Opera, una band ucraina che fa dark country, e chi ti incontra? «C’era pure Alona. Abbiamo gli stessi gusti, noi patrioti», sorride. Alona Ailikova, 37 anni, responsabile del controllo qualità in un’azienda finlandese, ha un fucile e lo sa usare eccome. «Io e mio marito siamo paramedici, lui è specializzato a operare in zone di combattimento e in caso di attacco lavorerà negli ospedali militari, io in quelli civili».
Il primo compito assegnato ai civili è portare al sicuro chi non può aiutare. «Noi abbiamo preparato una sistemazione a ovest, in casa di amici. Mio marito andrà subito a combattere – dice Alona – e io invece prenderò il mio fucile e accompagnerò mamma Victoria e nonna Galina, insieme ai miei suoceri. Poi tornerò indietro a combattere anch’io, da paramedico». Pure Dmitry Kolomoitsev, 45 anni, ci aveva provato a rendersi utile. Sono le tre del mattino, è qui che balla e dipinge a suon di musica, l’estasi è etilica ma lui fa il pittore «però mica professionista», dice. Viene dal Donbass, ma era a zonzo per il mondo nel 2014, quando scoppiò la rivoluzione: «Er o in India, sono tornato per combattere. Sono stato al fronte fino al 2016, poi mi sono congedato: stress post traumatico. Da allora dipingo, la guerra non fa più per me», alza mano e bicchiere.
Ai civili però non si richiederà solo di sparare, anche se tutti sono autorizzati a usare le armi personali: in Ucraina «sono vietate solo le pistole e i fucili automatici», dice Sergiy Prokhorenko, superconsulente per una multinazionale farmaceutica svizzera, tre figli, una passione sfrenata per le armi. «Ci giocavo a soft air, ho sei fucili a casa. Guarda, qui sono al Poligono». Bum bum, insegna a sparare a un ragazzo. Dal 2014 «aiutare i soldati è il mio secondo lavoro. Ho chiesto cosa mancasse loro, e ho fatto in modo che l’avessero: giubbotti antiproiettile più leggeri, misuratori di distanza per i tiratori. Se i russi attaccano, metto al sicuro la famiglia e poi eccomi». Fa parte di un partito della destra liberale, l’Ascia democratica, di cui Bohdana Levytska, 28 anni, è responsabile locale.
E poi c’è la difesa civile. «Il governo – dice Bohdana, fidanzata con un riservista – ha allargato all’80 per cento delle professioni l’obbligo di registrarsi: a me hanno detto che lavorerò in contabilità o nella redazione dei bollettini di guerra». Bum bum bum, picchia forte la musica davanti al Club sulla Kirillovskaya, un circolo storico frequentato da artisti. Fa un freddo cane, sono le quattro del mattino e Kiev ha una voglia matta di divertirsi per dimenticare la paura di una guerra forse alle porte. In centro i karaoke sono pieni, i pub puzzano ancora di sigarette e roba fritta, al Caribbean e al Queen ci sono le esibizioni dal vivo e con lo Champagne sul tavolo si esibiscono pure i sessantenni con le ragazze copertina. Al Rio e al Paradise, strip e risate; e giù grivne, la moneta locale, pagare il conto senza fiatare.
Ma qui al Club siamo fuori in fila. Bisogna passare il controllo all’ingresso, e sembra il film di Troisi e Benigni: «Chi siete? Da dove venite?». Ok, controllo passato, timbro sul polso. Si entra? No: «Prima dovete fare il test Covid». Al Keller, una vecchia fabbrica meccanica di epoca sovietica su una collina di questa zona industriale in cui sono nati club come funghi, si erano limitati a chiederci il green pass, a perquisirci e a tappare con un adesivo la fotocamera dei telefonini: «Privacy». Qui invece non basta. Un Qr code apre Telegram, registrazione e tocca finalmente al naso. Ora bisogna attendere 15 minuti, ma nevica e si gela. C’è una tettoia con una mezza stufa per tentare di sopravvivere. Il via libera, test negativo, arriva su Telegram.
Altro tatuaggio sul polso, ora siamo autorizzati a entrare. Biglietto, perquisizione severa, nuovi adesivi al cellulare. Al guardaroba un cartello avverte che per il sesso orale si può chiedere un preservativo. Dentro è una bolgia. Una comunità di alieni che ciondola, ballano tutti rivolti al dj, la musica è un martello Techno, ci sono ragazzi e ragazze mezzi nudi, etero ed Lgbtq, pelle e latex, fumogeni e luci. Dietro un angolo c’è la dark room, a giudicare dal profumo sembra più usata per la marijuana. E si beve, cocktail e chiacchiere, due ragazzi e una ragazza sdraiati si fanno tenere coccole, c’è una sala vasconi e, in ognuna, una decina di persone sdraiate su materassini. Qualcuno è crollato e se la dorme un po’, ma dura poco e li rivedi in pista. Sono le cinque passate. Bum bum, fa la notte di Kiev: di arrendersi alla paura non ci pensa proprio.