Varie, 22 gennaio 2022
In morte di Meat Loaf
Renato Franco per il Corriere
La sua vita sembra essere stata un grande dramma, esagerato come la sua musica, aneddoti che sconfinano nella leggenda. Diede un passaggio a un autostoppista che si rivelò essere Charles Manson. L’auto su cui si trovava venne sequestrata da un ufficiale dell’Fbi che doveva raggiungere l’ospedale dove stavano portando John F. Kennedy il giorno in cui fu ucciso. È stato colpito alla testa con un lancio del peso; è caduto varie volte dal palco, ma niente di che rispetto a quando volò giù dal terzo piano; gli fu diagnosticata la sindrome di Wolff-Parkinson-White (che non è l’insegna di uno studio legale) ma segnala un problema cardiaco. Figlio di un’insegnante di scuola che lo ha cresciuto da sola dopo aver divorziato dal padre alcolizzato (un agente di polizia) era ancora un adolescente quando sua madre morì e prese il soprannome di Meat Loaf, le cui origini vanno dal suo peso alla ricetta preferita di sua madre (il polpettone).
Il cantante Meat Loaf, leader della band che porta il suo nome, è morto ieri, aveva preso il Covid qualche giorno prima. Era nato a Dallas 74 anni fa e il suo album Bat Out Of Hell è uno dei più venduti di tutti i tempi. L’esordio (Stoney & Meatloaf) risale al 1971 e gli apre le porte per il ruolo di Eddie nel Rocky Horror Picture Show (1975), dove canta Hot Patootie/Bless My Soul e interpreta il motociclista tossico a cui Frank-N-Furter (il protagonista Tim Curry) preleva parte del cervello per costruire la sua creatura. Il successo è strepitoso ma non lo aiuta a lanciare il suo secondo album che ha una gestazione di quattro anni perché nessuno lo vuole pubblicare. Sarà un errore madornale per tante case discografiche tranne che per la Cleveland International Records: Bat Out of Hell (1977, prodotto da Todd Rundgren, le canzoni scritte da Jim Steinman) ebbe un successo commerciale incredibile: oltre 40 milioni di copie che lanciano Meat Loaf come star in tutto il mondo. Per il brano più celebre I’d Do Anything for Love (But I Won’t Do That) – un titolo ironico, Farei qualsiasi cosa per amore (ma non lo farò) – vinse anche il Grammy per la migliore performance vocale.
Vestito abitualmente di nero, i capelli lunghi a ondeggiare sulla testa, l’abbinamento migliore per il suo grande naso da pugile, peso over size, raffiche di chitarre, titoli di canzoni tra parentesi, il suo talento fu scostante, soprattutto a causa delle grandi liti, durate anni, con Steinman. Ma aveva saputo mantenere un legame stretto con i fan attraverso i suoi spettacoli dal vivo maniacali, i social media e le sue numerose apparizioni in tv, in radio e al cinema: Fight Club con la coppia Brad Pitt e Edward Norton, Pazzi in Alabama con la regia di Antonio Banderas, serie tv di enorme successo come Dr. House, Detective Monk e Glee, un cameo anche in versione animata in South Park.
Meat Loaf sosteneva che il suo album più celebre gli aveva fatto guadagnare popolarità ma non soldi: «Ho ricevuto assegni per 600 mila dollari per Bat Out Of Hell, mentre tutti gli altri hanno guadagnato milioni. Ricordo che con Freddie Mercury ci scambiavamo le storie delle nostre sfighe, ma non porto rancore all’industria discografica e nemmeno a mio padre. Era un alcolizzato fuori di testa, ha anche provato ad accoltellarmi. Ero sconvolto ma poi sono tornato a trovarlo. Tutto è quello che è. Nel momento in cui inizi a portare rancore, la tua vita è rovinata».
Ernesto Assante per la Repubblica
Il nome d’arte apparentemente poteva sembrare molto poco da rockstar, Meat Loaf, che può essere tradotto come “Polpettone”. E anche l’aspetto, legato ovviamente al soprannome e a una stazza che lo ha visto arrivare fino a quasi 140 chili, non era esattamente quello tradizionale di un divo. Eppure, Marvin Lee Aday, nato nel 1947 e scomparso ieri, è stato uno degli artisti rock che ha venduto più album, oltre 100 milioni di copie, e un suo disco, Bat out of hell del 1977, è tra i dieci più venduti di sempre. Secondo il sito Tmz aveva da poco contratto il Covid 19.
Cresciuto a Dallas, Texas, in una famiglia di cantanti gospel che lo avrebbe visto volentieri dedicarsi all’opera, aveva raggiunto la California nel bel mezzo della “Summer of love” e non era più tornato indietro. Ma non era il tipo giusto per il flower power e il rock più duro era diventato il suo credo, e con la sua prima band, i Popcorn Blizzard, era riuscito a trovare una buona fama locale, suonando prima di Who, Stooges e altri. Marvin era però anche un buon attore e nella Città degli angeli aveva fatto molti provini, sia al cinema che a teatro. Esordì con una produzione californiana di Hair, che lo lanciò anche a Broadway nei primi anni Settanta. Lì incontrò Jim Steinman, pianista e autore, con il quale iniziò una fruttuosa collaborazione. Il passo principale verso la fama lo fece nel 1976, quando ottenne una parte nel film The Rocky Horror Picture Show, facendosi notare nel ruolo di Eddie. Fare l’attore gli piaceva, continuò per tutta la vita a recitare, partecipando anche ad altri film di successo, tra i quali Fight Club, ma fu proprio cercando un punto di equilibrio tra teatro e rock che Meat Loaf realizzò Bat out of hell, l’album che lo trasformò in una star planetaria, oltre 43 milioni di copie vendute. Metteva insieme melodramma e hard rock, finzione, elettricità e un certo vistoso tono granguignolesco in una sorta di opera rock spettacolare. Prodotto egregiamente da Todd Rundgren, conteneva tre singoli, Two out of three ain’t bad, You took the words right out of my mouth
e soprattutto Paradise by the dashboard light, una piccola rock opera con un videoclip che esaltava le doti attoriali di Meat Loaf.
Tour, concerti, apparizioni tv portarono Meat Loaf in tutto il mondo, con conseguenze però in termini psicologici che gli causarono numerosi problemi negli anni seguenti. Al successo seguì il declino e nel 1986 Loaf dovette dichiarare bancarotta. Il ritorno sulle scene avvenne nel 1993, quando, di nuovo al fianco di Steinman, realizzò il fortunato sequel del suo successo, Bat out of hell II: Back into hell, che riportò Meat Loaf in cima alle classifiche con il singolo
I’d do anything for love (but I won’t do that) che stazionò al primo posto sia in Inghilterra che negli Usa e gli fece vincere un Grammy. Negli anni seguenti Loaf continuò la saga con un terzo capitolo e realizzò altri progetti come Hang cool teddy bear, nel 2010, altra piccola opera con Brian May, Jack Black e Hugh Laurie. Parallelamente continuò a recitare, più di cinquanta tra film e serie tv, compresa una collaborazione con Dario Argento per un episodio della serie Master of horror. Cantante di notevoli doti espressive, attore caratteristico e preparato, Meat Loaf ha vestito i panni di un’allegra star del rock ai confini dell’horror, creando un personaggio originale e divertente che difficilmente verrà dimenticato.
Luca Dondoni per La Stampa
L’altro ieri sera, all’età di 74 anni, se ne è andato Meat Loaf, uno dei rocker più importanti d’America. Il nome vero era Marvin Lee Aday e la sua carriera ha attraversato sei decenni nei quali ha venduto oltre 100 milioni di album in tutto il mondo e recitato in oltre 65 film tra i quali Fight Club, Focus e Wayne’s World.
Appena ventenne si trasferì a Los Angeles dove nel 1973 si unì al cast di The Rocky Horror Show dove interpretò sia Eddie che il dr. Everett Scott. Il disco più importante è stato senz’altro Bat Out of Hell, un lavoro seminale per il rock anche grazie alla title track e alla pianola che dava il via al pezzo scatenando un inferno di suoni capaci di coinvolgere intere generazioni. Non a caso è uno dei 10 album più venduti di tutti i tempi. Meat Loaf ebbe anche una lunga collaborazione con Jim Steinman, che scrisse tutti i suoi maggiori successi fino alla morte lo scorso aprile. Steinman scrisse anche Total Eclipse of the Heart per lui ma l’etichetta discografica dell’artista si rifiutò di fargli incidere il brano, che poi andò a Bonnie Tyler.
Fu lo stesso rocker a raccontare in un’intervista alla CNN per quale motivo scelse un nome d’arte così singolare, in italiano «polpettone». Meat Loaf disse che da bambino era così paffuto da non entrare nei jeans. I suoi amici lo prendevano in giro e la madre lo obbligava a indossare pantaloni oversize. «Un giorno però – raccontava – un’importante azienda di jeans pubblicizzò i suoi pantaloni con un video dove si vedeva un ragazzo sovrappeso e lo slogan recitava: “Marvin è così grasso che non entra nemmeno nei nostri jeans”. Sembrava fatto apposta per me e allora presi una decisione, dovevo cambiare il nome di battesimo. Avviai il processo per diventare Michael al posto di Marvin e il giudice, vista la natura sensibile del motivo, mi accontentò». Meat Loaf ha anche detto che proprio per la sua stazza veniva spesso chiamato «meat» (carne) e proprio per esorcizzare la sofferenza patita durante l’adolescenza decise di mettere il nome d’arte Meat Loaf anche sul suo passaporto.
Meat Loaf dovette affrontare inoltre numerosi problemi di salute e lui stesso una volta disse di essere un «gatto con 48 vite» per tutti gli infortuni a cui era sopravvissuto. Nella dichiarazione ufficiale post mortem i familiari dell’artista non hanno reso nota la natura del decesso, secondo TMZ era malato di Covid e non aveva mai nascosto le sue critiche nei confronti della gestione della pandemia scagliandosi contro l’obbligo della vaccinazione. Non è chiaro se si fosse vaccinato. «I nostri cuori – dicono i familiari – sono spezzati nell’annunciare che l’incomparabile Meat Loaf è morto stanotte, circondato dalla moglie Deborah, dalle figlie Pearl e Amanda e dagli amici più cari. Sappiamo quanto ha significato per molti di voi e apprezziamo davvero tutto l’amore e il supporto mentre attraversiamo questo periodo di dolore per la perdita di un artista così stimolante e di un brav’uomo. Vi ringraziamo per la vostra comprensione della nostra esigenza di privacy in questo momento. Dal suo cuore alle vostre anime... don’t ever stop rocking!». —