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 2022  gennaio 22 Sabato calendario

Intervista a Giuseppe Tornatore

Acclamato alla Mostra di Venezia, dove avrebbe meritato l’apertura in Concorso, benedetto da un cast stellare, da Bruce Springsteen a Clint Eastwood, Ennio è lo strepitoso documentario che Giuseppe Tornatore ha dedicato a Morricone, il collaboratore e amico di una vita, ovvero il musicista più popolare e prolifico del XX secolo, autore di oltre cinquecento colonne sonore. Anteprime in tutta Italia il 29 e 30 gennaio, arriverà al cinema il 17 febbraio.Tornatore, qual era la “particolare intesa” che Morricone vi accreditava?
In genere il regista soffre di un complesso di inferiorità per non saper gestire il linguaggio musicale. Io no, ma nemmeno desideravo impadronirmi della terminologia. Questo ha determinato in Ennio una maggiore disponibilità a decifrare il mio modo di esprimermi, senza la preoccupazione di doversi attrezzare per alleviarmi il senso di impotenza.
Ne è nata una relazione magica. Affinità elettive?
Nessuna invasione di campo, rispetto e mutua interpretazione: un corrispondersi. Nel corso degli anni, frequentandolo, ho imparato molte cose e lui se ne sorprendeva, orgoglioso.
Morricone ha scritto le musiche di undici suoi lungometraggi: quale preferisce?
Messo alle strette, direi La migliore offerta, non in termini assoluti, ma perché Ennio seguì un sistema di composizione inedito: trenta pezzi tonali, tutti combinabili tra di loro, per un Lego musicale. Al montaggio, rideva, s’esaltava che il regista potesse fare il musicista.
Un genio.
Ha esteso il concetto di contrappunto all’arte di far convivere le musiche, ma qui oltrepassò il doppio contrappunto, superò i tre temi di Mission o Il clan dei siciliani: cinque o sei pezzi insieme, un miracolo.
Quando l’ha sentito più vicino?
Quando morì mio padre. E ogni volta che faticavo a mettere in piedi un progetto, perché i produttori non riuscivano ad amarlo o semplicemente a far quadrare i conti: capiva il mio tormento e allorché decidevo di mollare il film si metteva subito a comporre sulla nuova idea, per rendermi meno doloroso il passaggio.
Litigi?
Mai. C’era dialettica.
Come le musiche hanno condizionato le sue immagini?
Erano composte prima di girare. Alcune volte, come anche Leone, Pontecorvo e Patroni Griffi, le usavo sul set, e allora l’impostazione della macchina da presa mi veniva ispirata dalla musica. Era naturale, il capomacchinista era felice di spingere il carrello sulle note. Quando la presa diretta l’ha impedito, le ascoltavo nelle pause di lavorazione, la sera in albergo, nei weekend: sapere che la musica del mio film esistesse già mi faceva credere che anche il film fosse finito, che dovessi solo scoprire dove s’era nascosto. Un felice condizionamento, più psicologico che linguistico.
Per Bertolucci, Morricone, con “la faccia rotonda, gli occhiali, sembrava uno dei Peanuts”: quale?
Charlie Brown (ride). Perché Ennio era molto semplice, umile, quasi smarrito, al contempo pragmatico, preciso. Diceva “ho la testa piena di musica”, ed era vero, ma il contrappunto tra innocenza e rigore avvertiva chiunque di trovarsi di fronte a una persona che andava interpretata, un mistero non svelato.
Stupore?
Al montaggio: “Ennio, qui ci vorrebbe una cosa…”. Prendeva un pezzo di carta e in dieci secondi scriveva la musica.
Come noi la lista della spesa.
Più veloce, perché alla lista della spesa un po’ ci pensi… Lo dice Bertolucci nel doc, il talento di Morricone sgorgava, era come se togliessi il tappo alla botte e il vino uscisse a fontana.
L’Oscar mancato per Mission o la colonna sonora di Arancia meccanica negatagli da Leone, quale fu la sua più grande delusione?
Lo sgambetto di Sergio, che mentì a Kubrick dicendo che Ennio era impegnato con lui, non l’ha fatto arrabbiare più di tanto, avevano un rapporto che poteva includere tutto, anche la gelosia. Direi Mission, era consapevole di aver fatto qualcosa di grandioso, laddove il premiato Round Midnight ritrovava le arie di Casablanca. Ma l’elaborazione fu abbastanza veloce, Ennio sapeva voltare pagina.
Il suo ultimo lungometraggio è La corrispondenza: sono passati sei anni.
Ho scritto il nuovo, siamo in preparazione. Sarà prodotto e girato interamente all’estero, scaramanticamente non posso dire nulla di più. Anzi, una cosa posso…
Prego, Tornatore.
Sto vivendo l’esperienza di un film via Zoom. Passo tutto il giorno al pc, collegato con lo scenografo, il responsabile degli effetti speciali: oggi con la pandemia non si riesce a fissare nemmeno un appuntamento.