la Repubblica, 21 gennaio 2022
I ricordi di Peppe Barra
Con quel sorriso, quella voce torrenziale e quel fascino eccentrico che ha, Peppe Barra assicura che Non c’è niente da ridere, ideato con Lamberto Lambertini per lui e per Lalla Esposito con qualche sottinteso omaggio a sua madre Concetta Barra, fino al 23 alla Sala Umberto di Roma e poi nel meridione fino a marzo, è uno spettacolo moderno. «C’è dentro una miscela comica e drammatica che ha una spavalderia di oggi, con innesti di teatro e canto, con spazi irreali e surreali, e pillole, parodie, monologhi, dialoghi tra un Attore e un’Attrice odorando, mangiando e toccando il mondo dell’arte coi visi, con gli occhi e col sapere del corpo e della mente dei nostri tempi. Basti dire che abbiamo ricostruito in lingua napoletana La cantatrice calva di Ionesco, rispettandone la follia ma con formule diverse».
Un’altra delle novità attuali è che per la prima volta, grazie ai duetti fra Barra e Esposito, aleggerà un tributo allo storico sodalizio cui Peppe dette vita dal 1980 al 1993 lavorando accanto alla mamma Concetta. «Lei come cantante e ballerina fece coppia con mio padre Giulio, fantasista. Fu stimatissima da Roberto De Simone che la inserì con me ne La Gatta Cenerentola, finché entrò proprio nel mio percorso scenico. Al Goldoni di Venezia, dove ero invitato da Scaparro, lei cominciò a scalpitare. Io e Lambertini le escogitammo un ruolo: appariva due volte, in panni di donna velata con strane canzoni. Da allora in poi abbiamo recitato e diviso melodie sempre in ditta, andando anche a Parigi, Londra e in Russia». La scommessa di oggi è puntare sulla sintonia fra due colleghi per ricostituire la leggendaria intesa teatrale fra un figlio e una madre. Chissà quanti aneddoti, affettuosi contrasti e imprevisti fuori- programma avrà regalato a suo tempo quella compagnia d’arte familiare. «La sindrome di Peter Pan spiega che il rapporto con la genitrice produce immancabili conseguenze: andavamo molto d’accordo, ma io ero un monello, e mi divertivo a rompere il rigore della mamma sarcastica e severa. Ebbi uno schiaffo e mi apostrofò come “guitto” quando facendo il duetto dei due gatti di Rossini, nel finale, inciampando lei in una cantinella il suo “miao miao” diventò un “miao-ahioooo”, e io risi senza freno, e lei mi pizzicò e poi si sfogò. Ma giocavamo». Ecco forse il perché del titolo d’adesso Non c’è niente da ridere. Ma se qui i due partner sono ben distinti, come avrà reagito all’epoca il pubblico davanti a un attore e a una mamma? «Noi assumevamo senza problemi le parti d’amore d’un fratello e una sorella, o d’un marito e una moglie. C’era una complicità inesauribile. Ma riuscimmo a sorprendere Giancarlo Sepe mettendo in cantiere un canovaccio dalla Salomè di Oscar Wilde riscritto con lui a La Comunità. E mamma, partecipando a La cantata dei pastori si trasformava in soggetto ributtante e gobbo, e quando rientrava strepitosa a cantare in costume del Settecento, nessuno credeva fosse lei».
Ora Barra e Lalla Esposito non si risparmiano su una ribalta con le luci puntate verso la sala e un fondale con una vista dei palchi così come appare agli attori, impianto di Carlo De Marino. Indossando costumi (lui ne cambia sette-otto) scelti da Annalisa Giacci, con musiche di Giorgio Mellone e tre esecutori, Antonio Ottaviano, Agostino Oliviero, Giuseppe di Colandrea. E Peppe Barra ha anche qualche progetto in arrivo. «Esce Lingua serpentina e altri racconti, cinque favole del Pentamerone di Basile ricostruite da me. E c’è un mio doppio album, Marocco music, dove ospito Tosca, con cui canto una canzone. Poi avrei l’idea di un altro testo di Ionesco».