Corriere della Sera, 21 gennaio 2022
Le regole di Sergio Lepri
Ho conosciuto «ufficialmente» il Direttore (con la D maiuscola) Sergio Lepri in via della Dataria il 2 maggio 1984, giorno della mia assunzione all’agenzia Ansa. E subito mi illustrò la regola inderogabile della casa: «Lei Andrea avrà sicuramente un’idea politica, ma io non voglio scoprirla leggendo quello che scrive. Buon lavoro». Sono passati quasi 38 anni da quel giorno, ma quella frase non l’ho mai dimenticata, come credo non l’abbiano dimenticata quel centinaio di giornalisti che hanno avuto la fortuna di lavorare con il Direttore. Altra regola inderogabile era quella della scrittura. Ricordo il dispiacere che provavo quando la mattina (per fortuna non tutti i giorni) trovavo sulla scrivania un mio articolo del giorno precedente con gli errori sottolineati con la matita rossa. Sottolineature fatte in prima persona dal Direttore. E non si trattava solo di errori di ortografia o dell’uso di aggettivi, ma soprattutto di forzature rispetto allo stile Ansa. In verità per me queste rigide regole non erano una novità perché io ho conosciuto «non ufficialmente» Sergio Lepri da bambino. Mio padre ha lavorato al suo fianco per 25 anni e ho respirato quell’aria da quando sono nato. Ho mille ricordi di quel periodo. Verso la fine degli anni Ottanta andai a seguire un noiosissimo dibattito sulle riforme istituzionali (confesso che per alcuni minuti mi addormentai e fui salvato dal collega dell’Agi) e mandai un pezzo non proprio in stile Ansa. Il giorno dopo il Direttore mi chiamò nella sua stanza e mi mostrò un biglietto di vibrate proteste di un ex presidente del Consiglio presente al dibattito per alcuni passaggi di quel servizio. Prima mi fece vedere la sua risposta piccata a quell’ingerenza, ma poi mi fece una bella lavata di testa che ancora ricordo. In un’altra occasione mi convocò perché ero arrivato in ritardo rispetto alle altre agenzie su una dichiarazione, peraltro non fondamentale. Cercai di spiegare che l’unico telefono disponibile era occupato e il Direttore mi gelò con la consueta ironia: «Per fortuna non si trattava di una lunga telefonata tra due innamorati, in quel caso il pezzo sarebbe arrivato stanotte». Un giorno lo incontrai al bar dell’Ansa e provai a contestare quelle sottolineature degli errori con la matita rossa dicendo che noi spesso dettavamo «a braccio» (per i più giovani: senza leggere da appunti o testi scritti). «Vorresti dettare leggendo una bella notizia d’agenzia? Troppo facile. Ricordati che tu sei l’Ansa», chiuse la discussione facendomi sentire orgoglioso di far parte di quella squadra. E poi è stato il Direttore anche fuori da via della Dataria. Mentre tifava in tribuna per la squadra di calcetto della sua Ansa che vinceva il trofeo Grandi Firme. Ricordi indimenticabili di un immenso Direttore. Lo so Direttore che avresti fatto una doppia sottolineatura rossa sotto la parola immenso. Ma per una volta fammi passare questa trasgressione alle tue regole.