Un nuovo metodo di allenamento, diviso tra Firenze e la Sicilia. Un fidanzato giocatore di basket. La facoltà di giurisprudenza al posto dello scientifico Da Vinci che ha accompagnato l’anno più incredibile e amaro della sua vita: 6,91 nel salto in lungo, record del mondo under 20 indoor, primato italiano della madre Fiona May eguagliato, poi l’infortunio e l’addio ai Giochi, in cui l’atletica azzurra ha brillato senza di lei. Sabato, al Palaindoor di Ancona, torna Larissa Iapichino. Seguita in gara dal papà-coach Gianni, che racconta com’è difficile ed esaltante allenare una figlia speciale. «Una fuoriclasse, perché questo è Larissa».
Iapichino, come ha fatto a tenere buona per sette mesi una figlia che si preparava per le Olimpiadi?
«È stata lei la prima a dirmelo, dopo Rovereto: “Babbo, anche se dovessi riprendermi, che ci vado a fare alle Olimpiadi?”. Sapeva benissimo che avrebbe fatto una magra figura. Non è tipa da viaggio premio, è una 19enne di incredibile maturità».
Quando avete cominciato a lavorare come coach e atleta, lasciando da parte padre e figlia?
«Da fine agosto, oltre non avrei potuto fermarla, lei non vedeva l’ora di riprendere. È stata una lunga rincorsa, i vari aspetti della sua preparazione non erano stati curati: gli esercizi di sollevamento pesi erano eseguiti con una tecnica pessima, che può diventare addirittura pericolosa per la schiena. Stesso discorso per i balzi.
Sono dovuto ripartire dall’ABC».
Primatista dell’asta, maestro di golf, padre di Larissa e Anastasia: come nasce l’allenatore Iapichino?
«Io sono una palestra “umana”, che si ispira a grandi maestri che ho avuto la fortuna di incontrare: Renzo Avogadro, Vitalij Petrov, il coach di Bubka, Robert Zotko, un pozzo di scienza che purtroppo non è più tra noi. Anche le nozioni di fisica, biomeccanica e psicologia legate al golf possono essere utili».
Come ha preso il papà-allenatore la richiesta di Larissa di stare più vicina al fidanzato Vittorio Bartoli, ala di Capo d’Orlando?
di Mattia Chiusano «Abbiamo organizzato ogni mese una trasferta, per la cosiddetta settimana di scarico, importante come l’allenamento per il recupero psico-fisico dell’atleta. In un periodo in cui altri azzurri sono alle Canarie, alle Azzorre, troviamo un clima mite a Barcellona Pozzo di Gotto. Nessuna complicazione, e lei è serena».
Quanto cambia il vostro rapporto in allenamento?
«Sono molto più severo sul campo che come papà. Abbiamo caratteri simili, e finiamo per cozzare uno contro l’altra. Soprattutto quando la vedevo giù di corda, a timbrare il cartellino. La prima reazione di Larissa è di sfida, ma subito dopo si mette ad ascoltare e fa l’atleta».
È il momento degli obiettivi: i sette metri, i Mondiali di Eugene o le Olimpiadi di Parigi?
«Sabato ad Ancona vogliamo testare a che punto siamo. Ma il traguardo finale è Parigi. Il lavoro di questi anni servirà a portarla nelle migliori condizioni ai Giochi».
Il 6,91 saltato nel 2021 valeva già il quarto posto olimpico: non state volando un po’ troppo basso?
«Larissa è una fuoriclasse, e il lavoro potrebbe pagare prima. Ma a me, come alla madre quando gareggiava, non piace porre obiettivi che si rischia di mancare. Diciamo che Parigi è un bell’obiettivo, non fra quattro anni ma fra tre, non in un posto lontano ma quasi in casa. I limiti femminili sono invariati dai tempi della madre di Larissa, 6,80 metri per la finale, sette per il podio».
A proposito, Fiona May fa parte del team che avete costituito?
«No, Fiona svolge il suo ruolo di madre, cerca di tranquillizzare la figlia, di darle le dritte come atleta».
E il padre assiste Larissa anche all’università?
«Pure quello no... Ad Ancona lei si porterà i libri per gli esami, l’8 febbraio c’è diritto costituzionale».