il Fatto Quotidiano, 19 gennaio 2022
Lo stato e il costo del prepensionamento di 1.200 giornalisti
Per alzare il velo sulla gestione allegra della rottamazione di dirigenti, giornalisti e poligrafici da parte delle aziende editoriali ci voleva lo scandalo dei prepensionamenti “furbetti” del gruppo Gedi (ex L’Espresso), che pubblica Repubblica, che ha visto il sequestro preventivo di oltre 30 milioni dalle casse dell’azienda editoriale da parte della Procura di Roma per una presunta truffa ai danni dell’Inps dal 2011 al 2015. Un modo tra tanti (dalla cassa integrazione ai contratti di solidarietà) per tagliare il costo del lavoro nel decennio della crisi dei giornali. Per ottenere il via libera facile ai pensionamenti anticipati dei giornalisti, al di là di presunte truffe, tutti gli editori nell’ultimo decennio hanno varato stati di crisi uno dietro l’altro.
Con un’appendice non di poco conto. Il costo dell’uscita anticipata dei giornalisti “anziani” è stato in gran parte scaricato sui conti dello Stato. Del resto anche i padroni dei giornali sono usi a privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Un mantra che ha contrassegnato i giornali dall’inizio della grande crisi della carta stampata. Dal 2009 i costi per mandare a casa anzitempo i giornalisti sono per gran parte a carico dei conti pubblici. Da allora lo Stato ha finanziato il 70% dell’onere complessivi dei prepensionamenti, regalando agli editori una comoda via d’uscita per ristrutturare i costi aziendali. Una manna per i manager delle aziende editoriali che hanno approfittato del generoso contributo della mano pubblica.
Dal 2009 a tutto il 2019 sono stati prepensionati oltre 1.100 giornalisti. Lo Stato ogni anno ha contribuito con suoi finanziamenti a rottamare i giornalisti “anziani”. Il costo di ogni pre-pensionamento vale almeno 350mila euro. Fino a tutto il 2019 quindi le fuoriuscite sono pesate per 385 milioni di euro. Il 30% a carico degli editori e il 70% finanziato dallo Stato, con una spesa complessiva di 270 milioni per le finanze pubbliche. Questo fino al 2019. Ora il Governo ha dato via libera a una nuova tornata di prepensionamenti che, secondo le stime, potrebbero riguardare oltre un centinaio di nuove fuoriuscite portando il conto per lo Stato a superare tranquillamente i 300 milioni di euro.
Il gruppo Monrif che con Editrice nazionale pubblica La Nazione, Il Resto del Carlino, Il Giorno, Qn ha già avuto via libera per 37 prepensionamenti. Il referendum di lunedì scorso tra i giornalisti del Sole 24 Ore sull’accordo con l’azienda per il nuovo stato di crisi, che prevede solo al quotidiano 25 pensionamenti e prepensionamenti, ha visto 165 votanti su 193 aventi diritto al voto: l’intesa è stata approvata con 123 voti a favore, 31 contrari e 11 astenuti. In coda ci sono altri gruppi editoriali. Prima della riforma del 2017 i prepensionamenti dei giornalisti si potevano ottenere con requisiti molto bassi (58 anni di età e almeno 18 anni di contributi. Ora i requisiti così blandi sono stati alzati a 62 anni di età e 25 di contributi, rendendo meno onerosi i prepensionamenti. Ma è poca cosa, dato che lo scandalo vero è aver permesso con il decreto del 2009 a firma di Maurizio Sacconi, allora ministro del Lavoro, di poter ottenere stati di crisi cui legare i prepensionamenti anche con i conti non “in rosso”. Bastava segnalare possibili crisi prospettiche e indicatori economico-finanziari futuri in declino per ottenere il via libera. Una sorta di liberi tutti a favore degli editori che non sono certo stati a guardare e hanno colto la palla al balzo. Primo tra tutti il gruppo L’Espresso (allora della famiglia De Benedetti) che ha avuto accesso agli stati di crisi pur con i bilanci in utile almeno fino a tutto il 2016. Ma massicci prepensionamenti li hanno fatti un po’ tutti. Da Caltagirone per i suoi giornali, Il Messaggero, Il Mattino e Il Gazzettino a Riffeser, oggi presidente Fieg, a Il Sole 24 Ore in perdita da almeno un decennio. Certo, la crisi di vendita dei giornali è indubitabile, con il crollo medio dei ricavi nel settore di oltre il 40% nel decennio. Ma l’aiuto pubblico c’è stato eccome, a contribuire a liberarsi solo negli ultimi 5 anni di oltre 3mila giornalisti dipendenti, il 20% del totale. La mattanza delle fuoriuscite anticipate non è certo finita, con lo Stato che ci metterà come al solito una pezza o, meglio, sonori denari.