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 2022  gennaio 19 Mercoledì calendario

Parla la figlia di Beppe Fenoglio

«Io glielo dico tutte le sere: "Papà, chebrutto scherzo mi hai fatto! Lo sai, io ti adoro, ma essere tua figlia è diventato un lavoro a tempo pieno. Io questo centenario lo inauguro, ma non so affatto se avrò anche la forza di chiuderlo"». Il centesimo anniversario della nascita di Beppe Fenoglio scoccherà il 1° marzo, ma la figlia Margherita vive in apnea già da mesi. O meglio, da anni. «In pratica, non faccio altro che occuparmi di lui», ci racconta tra le mura del Centro studi che ad Alba porta il nome dello scrittore partigiano e che per un anno intero diventerà il cuore pulsante delle celebrazioni fenogliane.
L’autore del Partigiano Johnny è morto il 18 febbraio 1963, ucciso da un cancro ai bronchi a soli 41 anni, quando Margherita ne aveva appena compiuti due. «Ciao per sempre, Ita mia cara», le scriveva dall’ospedale delle Molinette di Torino. «Ogni mattina della tua vita io ti saluterò, figlia mia adorata. Cresci buona e bella, vivi con la mamma e per la mamma e talvolta rileggi queste righe del tuo papà che ti ha amato tanto e sa di continuare a essere in te e per te. Io ti seguirò, ti proteggerò sempre, bambina mia adorata e non devi pensare che ti abbia lasciata». Una questione privata dolce e struggente che da sempre accompagna la figlia dell’amato scrittore.
«Ho mantenuto la promessa, rileggo spesso quel messaggio che nella sua semplicità dice tutto. Da ragazzina, avevo in camera una scrivania con un vetro e ci avevo infilato sotto la lettera e qualche foto, per averle davanti agli occhi tutti i giorni. Ma faccio molta fatica a immaginare gli anni che avrebbe potuto avere oggi mio padre, quanto tempo avremmo potuto trascorrere insieme. Invece, non ho neppure il ricordo più evanescente e sbiadito, sebbene non ci sia stato giorno che mia mamma e mia nonna Margherita non mi parlassero di lui. È morto così presto che io non ricordo neppure il dolore. Sono stata un’orfana privilegiata, alla fine mi è mancata solo la presenza fisica».
I libri hanno colmato questa assenza?
«I suoi romanzi e racconti hanno lasciato un segno profondo. Se la sua vita non si fosse spezzata così presto, avrebbe senza dubbio potuto arricchire la sua opera, perché il suo unico desiderio era scrivere. Ma è una consolazione enorme sapere che ha dato tantissimo ai suoi lettori».
Oggi Beppe Fenoglio è un classico, uno degli autori più amati del Novecento italiano. Quando si è resa conto di avere un papà così importante?
«Direi quando abbiamo iniziato ad avere la casa piena di studiosi, in particolare quelli della scuola di Pavia che sono stati i primi a dargli un valore letterario che andava oltre le nostre aspettative. Poi, però, all’interesse degli accademici si è affiancato quello del grande pubblico. E non si è più fermato, anzi si è moltiplicato fino a diventare un affetto profondo, un legame che ogni giorno si rinnova anche in modo tangibile, soprattutto tra i giovani».
Ovvero?
«C’è continuamente chi lascia un paio di sigarette sulla sua tomba al cimitero di Alba o accende un cero, infila un biglietto. Il custode mi ha raccontato che qualche settimana fa un signore è andato a trovarlo con la chitarra e gli ha cantato un brano. Un ragazzo, invece, gli ha scritto: "Ciao Beppe, grazie a te ho passato la maturità". Anche Andrea Scanzi, anni fa, gli ha lasciato dietro a un vaso una dedica con il suo primo romanzo».
Molti scrittori si leggono, Fenoglio si ama.
«E tutti lo chiamano Beppe, tutti gli danno del tu. Quando entrano nel Centro studi si sentono a casa, lasciano frasi bellissime sul libro degli ospiti. I giovani autori mi scrivono e dicono di lui cose profondissime, ogni volta rimango stupefatta. La scorsa estate una coppia di giovani sposi dalla Toscana ha deciso di fare il viaggio di nozze sui luoghi dei suoi romanzi. Gli studenti di un liceo francese in gita a Torino, invece, quando hanno scoperto che le Langhe erano solo a un’ora di distanza, hanno chiesto una modifica all’itinerario. Come si fa a rifiutare di incontrarli, a dire di no a tanto affetto?».
Così il lavoro di figlia aumenta...
«E il mio mestiere di avvocato arranca. I più appassionati vengono a cercarmi anche in studio per espormi le loro teorie, le ragazze mi scrivono per sapere come finisce la storia di Milton. È una fatica, ma anche un grande onore a cui mi presto con un senso di gratitudine. Mia madre mi ha insegnato a tenere i piedi per terra, ricordandomi che non c’è alcun merito nell’essere la figlia di Fenoglio, che la stima degli altri si guadagna, non si eredita. I lettori mi regalano ogni giorno emozioni, mi consolano, mi spingono a essere degna di questo cognome così ingombrante».
Ma qual è, per lei, il motivo di tanto affetto?
«I temi che lui tratta, la lotta tra il bene e il male, il desiderio di libertà, la necessità della scelta, la solitudine, la povertà estrema del mondo contadino, sono universali e ancora attualissimi. Il suo sguardo antiretorico sulla Resistenza ci ha messo anni per essere capito e apprezzato, ma ora è un riferimento imprescindibile. E poi la sua epicità, lo stile cinematografico di racconti come Un giorno di fuoco o del Partigiano Johnny, l’essenzialità della Sposa bambina o de Il gorgo, uno dei miei racconti preferiti».
Una fortuna che si è presto affermata anche all’estero, vero?
«Una questione privata è pubblicato in 22 lingue, compreso il coreano e il basco, e a breve arriverà una nuova edizione per gli Usa. La malora, il primo libro che ho letto di mio padre, sta per essere tradotto in arabo. E gli studiosi non smettono di interessarsi a lui, di soppesare ogni sua parola».
Anche molti scrittori lo indicano come un maestro.
«Scopro di continuo dei nuovi ammiratori: Nicola Lagioia, Sandro Veronesi, Marco Missiroli, Giacomo Verri, Emiliano Gucci. Sono tantissimi, spesso li invitiamo ad Alba per far conoscere e condividere questa passione».
Con il centenario, le occasioni non mancheranno.
«Come dice il partigiano Johnny sul Tanaro, rispondendo all’ufficiale fascista che gli chiede che ne sarà dell’Italia se vinceranno loro, io vorrei che questo centenario fosse "Une petite affaire toute serieuse". Una cosa piccola, ma del tutto seria, magari con qualche bell’effetto speciale. Sappiamo quanto sia alta l’attesa per queste celebrazioni e stiamo lavorando per costruire un programma degno delle aspettative. Abbiamo la fortuna che nessuno dice di no a Beppe Fenoglio: anzi, al solo annunciare la nostra proposta di collaborazione, tutti aderiscono con entusiasmo. L’obiettivo non è solo quello di celebrare, ma di aprire le porte a una nuova stagione fenogliana, alimentando nuove occasioni per scoprirlo e amarlo».
Ci sveli almeno una cosa: alla fine, Milton sopravvive o muore?
«E chi lo sa? Da giovane, con animo melodrammatico, avrei detto che muore. Oggi, invece, sarei tentata a pensare che viva, ma è un mistero che non risolveremo mai».