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 2022  gennaio 18 Martedì calendario

Václav Havel ricordato da Jáchym Topol

«Prendo soltanto le parti della verità contro la menzogna, dell’intelligenza contro l’assurdo, della giustizia contro l’ingiustizia». Václav Havel, ultimo Presidente della Cecoslovacchia e primo della Repubblica Ceca, non nutriva l’ambizione di diventare un politico, un rivoluzionario o un dissidente di professione. Era un intellettuale, un artista che ha costruito uno spazio culturale e politico inedito nel Novecento europeo attraverso la lotta per la libertà e la democrazia, quando nella Cortina di ferro il suo Paese era un satellite dell’Unione Sovietica.
A dieci anni dalla morte di Havel, la testimonianza di Jáchym Topol, firmatario di Charta 77, documento e movimento fondamentale della dissidenza cecoslovacca, tra i più importanti scrittori cechi contemporanei, di cui la casa editrice Keller ha pubblicato di recente il romanzo Una persona sensibile, è un ritratto nitido della preziosa e complessa eredità del protagonista nel 1989 della Rivoluzione di velluto. A Praga Topol è il responsabile delle attività culturali della Biblioteca e archivio Václav Havel.
Le opere di Havel riempiono tuttora i teatri. Che cosa continua a conquistare di lui?
«Il suo teatro costruì una comunità in cui sentirsi liberi. I giovani scoprono un altro tipo di politico rispetto alle figure attuali, che credeva nel primato della cultura sulla politica con il desiderio di aggiustare il mondo. Incontrano una persona scintillante, intelligente, gioiosa e aperta».
Qual era il fondamento della sua dissidenza?
«Non era un progetto per la conquista e conservazione del potere. Mirava al risveglio della società civile. Quello cecoslovacco era un sistema post totalitario in cui i cittadini dovevano abdicare alla propria ragione, coscienza e responsabilità».
Come cambiò l’orizzonte?
«Ci indicò la rotta di una rivoluzione culturale che rimetteva al centro la riappropriazione della libertà individuale, sconfiggendo, attraverso la verità, la paura del regime».
Che cosa intendeva Havel nel manifesto politico del dissenso Il potere dei senza potere?
«La possibilità di non allineamento dell’individuo in qualsiasi regime. Nella clandestinità il dissidente costruisce una società parallela che si oppone fino al sovvertimento dell’ordine politico esistente».
Che cosa emerge dagli ultimi testi catalogati dalla Biblioteca Václav Havel?
«Abbiamo ritrovato e pubblicato un reportage inedito di 70 pagine che lui scrisse sul suo arresto e sull’incarcerazione. È una cosa affascinante, perché dà un quadro della situazione, esplora la dimensione del prigioniero politico e arriva fino al privato, parlando dell’amore, dell’alcol e delle sigarette. Oggi nessun politico scriverebbe qualcosa del genere. Lui era una persona spontanea e autentica».
Quali altri aggettivi userebbe?
«Fin da giovane aveva il carisma del leader. Era tenace, rigoroso, infaticabile nell’unire il pensiero all’azione politica. Non nascondeva i dubbi, i fallimenti e le depressioni. Sapeva fare autocritica: non amava gli altari e non voleva essere rinchiuso dentro a un mausoleo».
Qual è stato ed è il valore attuale di Charta 77 animata da Havel?
«Firmarla era un atto di coraggio. Molti firmatari sono stati incarcerati o costretti all’emigrazione. Il lascito di Charta77 è ancora vivo soprattutto dove manca la libertà, perché i suoi principi sono riusciti a trasmettere la pratica della resistenza non violenta contro il totalitarismo».
In che modo circolò in clandestinità?
«Copiavamo le pubblicazioni illegali come nel Medioevo. Charta 77 passava di mano in mano. Usciva come un Samizdat, fogli ricopiati di nascosto in casa con la macchina da scrivere».
Ricorda dove lo firmò?
«Avevo sedici anni. Avvenne nella cucina di Martin Palou, uno dei maggiori dissidenti del Paese, mentre incarceravano moltissime persone».
Chi ruotava intorno a Charta 77?
«Fu un movimento di protesta enormemente tollerante e aperto che ha unito le generazioni. C’erano cattolici, marxisti, artisti bohémien, operai e impiegati: tutti avevano in comune l’avversione al totalitarismo».
Quale Europa sognavate?
«Fino ai miei 25 anni, l’Europa era solo la Cecoslovacchia circondata dal filo spinato. Considero il viaggiare ancora come una specie di miracolo. Havel è stato profetico nell’aspirare all’integrazione europea. Nelle sue lettere degli anni ’50 prefigurava con lo sviluppo dell’Europa unita il mantenimento della pace e la conquista della libertà. Come sosteneva Havel, la storia non è finita con il 1989. Dopo trent’anni siamo tornati alla costruzione dei muri».