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 2022  gennaio 18 Martedì calendario

Thomas Mann raccontato dal figlio Klaus

Nostro padre era riservato e non entrava molto in contatto con la nostra vita quotidiana. Per contro lui aveva una forza ancora più suggestiva quando ci rivolgeva la parola oppure prendeva un’iniziativa (tipo una visita a teatro). Le sue affermazioni per noi diventavano presto delle citazioni classiche, per il semplice motivo che erano piuttosto rare. Come quando a tavola offrì a Erika – solo a lei – un dattero e spiegò questo orribile gesto arbitrario con le parole: “È bene che vi abituiate per tempo all’ingiustizia” – un’osservazione che mi parve stranamente frivola e insieme degna di apprezzamento.
Mentre Mielein sapeva fare quasi tutto, lui non s’intendeva che di qualcosa, però in modo talmente perfetto che ne derivava subito una leggenda. Per esempio lui sapeva sbattere con una forchettina su un piattino un tuorlo d’uovo in maniera così perfetta che l’uovo diventava tutto rigido, e inoltre era capace di spruzzare con una gomma sul prato per annaffiare il giardino a tal punto che veniva considerato un maestro in questa operazione: si trattava di due abilità che, come lui diceva, richiedevano soprattutto una mano agile e leggera. Inoltre possedeva il dono di renderci interessanti e nuove le lunghe passeggiate nei dintorni di Tölz, da noi per niente amate, con l’abilità di ridefinirle in stile fiabesco… Per il resto lui si tratteneva in genere nel suo studio, dove noi quasi non potevamo metter piede. Venivamo prevenuti che dovevamo essere silenziosi e se lo dimenticavamo ce lo ricordava un secco colpo di tosse ammonitore che proveniva da dietro la porta chiusa…
Era solo fin troppo ovvio che i genitori ricominciassero a preoccuparsi per noi. Ci presentavamo a pranzo con tracce sanguinose di morsi alle mani e al collo e con le facce stralunate. Ci vedevano come invasi da una febbre che ritenevano più pericolosa di quanto in realtà fosse. Poi vi si aggiungevano le chiacchiere che venivano loro riportate e che esageravano e distorcevano tutto quello che facevamo e organizzavamo con grande ingenuità. Loro potevano pensare che ogni notte nei bordelli ci mettessimo a ballare sui tavoli. E invece lo strano era che si trattava sempre di cose innocenti che venivano travestite da crudeltà o da brame sensazionalistiche… Le “scene” con i genitori si svolgevano per lo più in forma di discussioni filosofiche. Con una pazienza, che oggi ammiro, mio padre ascoltava tutta la paccottiglia sconnessa e patetica di argomenti che tiravo fuori per difendermi…
Il conflitto padre-figlio durò appena un anno della mia vita. Visto come stanno oggi le cose, lo considero il più superfluo e il meno interessante dei problemi. È passata da tempo l’epoca in cui il padre era un rigido conservatore e il figlio un rivoluzionario (oggi è quasi l’opposto). E lo dico in generale non riferendomi al mio caso dove tutti i malintesi e i rapporti penosi da anni hanno ceduto il passo alle leggi dell’amore e della ragionevolezza. La cosa più fatale per i miei genitori in quel mezzo anno fu lo sgomento per tutto quello che mi sarebbe potuto accadere. Mi consideravano decisamente troppo giovane per lasciarmi già stabilire a Berlino come libero letterato erotico-religioso…
Proprio allora, quando in molte cose dipendevo intellettualmente da mio padre, tentavo con forza di sviluppare in me quello che sentivo di opposto a lui. Mentre leggevo La montagna incantata, che stava arrivando alla sua conclusione, lo conoscevo pezzo per pezzo così come rileggevo sempre di nuovo tutte le sue opere precedenti, cercavo di chiarire a me stesso cosa avrei mai potuto contrapporre a quel blocco intellettuale compatto. Mentre stavo costruendo queste opposizioni e le vivevo realmente sulla mia pelle, nessun plauso mi premeva come il suo. Il corso irrazionale del tempo lo coglievo con animo bramoso, solo che corrispondeva fin troppo seriamente alla mia condizione. Mi ci adeguai del tutto con il risultato che a diciassette anni ero asociale e apolitico come un ragazzo di tredici o quattordici…
Non si può negare che il mio nome e la fama di mio padre, che vi si accoppia quando ci si pensa, mi abbiano facilitato il debutto. Ma dopo un mezzo anno quei vantaggi apparenti si trasformarono in svantaggi che si potevano superare solo con estremo ottimismo e grande vitalità. È strano che si sorvoli normalmente su questo immenso svantaggio, mentre si fa un gran parlare del primo vantaggio. Lo svantaggio a cui non è esposto nessun altro autore debuttante consiste nella prevenzione con cui ci si accosta al sottoscritto. Non ho ancora trovato un lettore non prevenuto nei miei confronti. Non solo l’invidioso, ma anche chi ha sentimenti amichevoli si mette istintivamente a costruire una relazione fra quello che scrivo e l’opera paterna. Mi si giudica in veste di figlio. Avrei potuto liberarmi fin dall’inizio di questa grave zavorra usando uno pseudonimo. Però – ammesso pure che questa maschera avessi potuto conservarla – è lecito semplicemente nascondersi dinanzi alla più cocente problematica della propria vita che rappresenta al contempo anche un obbligo?
Durante uno dei miei giri berlinesi a cui mi spinse una cattiva stella, una signora, a cui venni presentato, disse: “Ah – molto interessante – all’ombra del titano –”. Dio l’ha punita creandola così stupida.
Non serve desiderare di nascere in un tempo più tranquillo oppure in una sorte individuale meno sconvolta. Perché non abbiamo scelta.
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