Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  gennaio 18 Martedì calendario

Busterati e no

Si avvertiva già un effetto di saturazione nel sentir dire ovunque la parola «narrazione», soprattutto in rapporto al tempo che stiamo vivendo: la narrazione della pandemia, la narrazione della malattia, la narrazione dell’emergenza, la narrazione dei no vax… Ma adesso, come se non bastasse, è arrivata anche la «narrativa». Che sembra propagarsi a macchia d’olio come categoria semantica onnicomprensiva che si mangia tutte le altre: la narrativa pandemica, la narrativa catastrofista, la narrativa dominante, la narrativa complottista eccetera. L’abbiamo sentita diverse volte pronunciare, qualche sera fa, dal patologo Guido Silvestri durante la rubrica televisiva «In onda» di David Parenzo e Concita De Gregorio. Dunque, se la narrativa era tecnicamente, fino all’anno scorso, niente più che un settore del mercato librario che si distingueva in narrativa italiana e narrativa straniera, e si differenziava dalla saggistica, dalla cosiddetta varia e dalla poesia, siamo appena entrati nel 2022 e già dobbiamo abituarci a un nuovo concetto-blob, un fluido lessicale che si dilata a dismisura come quello di «narrazione», fino a inglobare quasi tutto l’immaginabile, astratto e concreto. Del resto, sappiamo bene che la pandemia ha finito per contagiare, oltre ai nostri corpi, alle nostre consuetudini quotidiane e alla nostra mentalità, anche il vocabolario. E ciò è avvenuto sin da quando si è insinuato nelle nostre vite il misterioso paziente zero, e da quando cioè l’aggettivo «virale», uscito dal campo medico per entrare nel magico mondo dei social media (dove virale era pura estasi), è precipitosamente tornato all’ovile, quasi per nemesi crudele del Dio della Parola che punisce l’eccesso di metafora, quasi dicesse: «Impara a parlare come si deve!». Le parole sono pietre, ma anche virus, si diffondono quanto la variante Omicron. Se fino al 2019 la variante era un concetto per filologi (la variante d’autore di Petrarca e di Montale) o per ingegneri (la variante di valico), adesso è sulle bocche di tutti, positivi e negativi, tamponati e no, busterati e no. Se prima il tamponato reclamava con forza i danni ricorrendo all’assicurazione, oggi il tamponato paga in farmacia e aspetta timidamente l’esito. E solo pochi mesi fa se qualcuno ci avesse parlato di booster e busterati, l’avremmo cautamente accompagnato dal primo psichiatra. Il neorealismo resistenziale della pandemia sarà inaugurato probabilmente da un romanzo intitolato Busterati e no. Sarà primo nella narrativa italiana. Narrativa si fa per dire, italiana idem.