ItaliaOggi, 18 gennaio 2022
Gli Usa chiedono all’Europa: se Putin chiude le forniture di gas per la guerra in Ucraina siete in grado di resistere? Risposta: no
L’agenzia Reuter, con un dettagliato servizio firmato da quattro giornalisti investigativi, ha rivelato che alti funzionari del Dipartimento di Stato Usa, guidati dal consulente per la sicurezza energetica Amos Hochstein, hanno chiesto in via riservata all’Ue e a diversi gruppi internazionali dell’energia se, in base ai loro piani di emergenza, sarebbero in grado di garantire all’Europa forniture di gas sufficienti nell’ipotesi che Vladimir Putin blocchi del tutto le forniture di gas russo all’Europa. Una chiusura da collegare all’ipotesi di una guerra di Mosca contro l’Ucraina per il controllo della regione separatista del Donbass, ai confini della quale Putin ha già schierato più di centomila soldati. Attualmente, il gas russo copre più di un terzo del fabbisogno europeo di gas, e la risposta delle società energetiche, stando alla Reuter, è stata negativa: «Le forniture globali di gas sono limitate e c’è poco gas disponibile per sostituire i grandi volumi della Russia».
I colloqui tra il governo Usa e le maggiori società energetiche occidentali sono un pessimo segnale per l’Europa sotto molti punti di vista. Sotto il profilo economico, confermano che il prezzo del gas non scenderà tanto presto, anzi. E questo non farà altro che aggravare la crisi energetica in atto, dovuta non solo alla riduzione delle forniture russe e alle conseguenti speculazioni di mercato, ma anche alla scarsa preveggenza, mista a supponenza ideologica verde, con cui l’Unione europea ha lanciato un Green Deal che punta a mettere fuori gioco le energie fossili (carbone, petrolio e gas), senza essersi prima assicurata un’adeguata autosufficienza energetica alternativa. Una politica miope, che sta costando moltissimo alle imprese e alle famiglie: le bollette di gas e di energia elettrica sono diventate talmente elevate da costringere alcuni settori industriali a chiusure temporanee, e altri a fallire. Di fatto, un altolà alla ripresa post-pandemica dell’economia.
Ma guai ben peggiori sono possibili se il contenzioso tra Russia e Ucraina dovesse aggravarsi. Il presidente Usa, Joe Biden, ha dichiarato che se la Russia invaderà l’Ucraina, gli Stati Uniti, d’intesa con l’Europa, risponderanno imponendo sanzioni economiche contro Mosca finora mai viste, escludendo la Russia dal circuito finanziario mondiale. E Putin, per tutta risposta, ha immediatamente fatto capire che potrebbe chiudere del tutto il rubinetto del gas russo verso l’Europa, sapendo che non esistono alternative sufficienti per i paesi Ue.
I segnali premonitori di tale contromossa, rivela la Reuter, sono due. Primo: il gasdotto Yamal, che di solito porta il gas russo in Germania attraverso la Polonia, in realtà sta pompando in senso inverso e preleva gas dai depositi tedeschi per portarlo in Polonia, per cui da 26 giorni in Germania non arriva più gas russo da questo tubo, probabilmente una forma di pressione per ottenere il via libera definitivo per il Nord Stream 2. Secondo: il gasdotto che trasporta il gas russo a Riga, in Lettonia, da questa settimana chiuderà per lavori di manutenzione, cosa del tutto insolita in inverno.
Con queste manovre sui rubinetti del gas, Putin sta obbligando l’Europa a chiedersi chi avrebbe il maggior danno dalle sanzioni minacciate da Biden: la Russia, oppure la stessa Europa? Il che pone un interrogativo drammatico sul ruolo dell’Unione europea nella vicenda Ucraina, dove l’uso del gas come arma economica si intreccia con questioni di politica estera (l’allargamento della Nato all’Ucraina) e di sicurezza. Un contesto geopolitico dove i protagonisti veri sono due, la Russia e gli Usa, mentre l’Ue appare sempre più missing in action(dispersa in azione), come su Politico la definisce Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali e membro del consiglio d’amministrazione dell’Eni.
In passato, sostiene Tocci, l’Europa ha saputo giocare un ruolo decisivo nella vicenda Ucraina: «L’accordo di Minsk, efficace o meno, è stato mediato da Parigi e Berlino». Ma ora, sulla difesa della sicurezza europea, l’Ue non sembra avere voce in capitolo, tranne il fatto che alcune capitali (Berlino, Parigi, Londra e Roma) sono sì consultate dagli Usa, ma niente di più. Come si spiega? «Parte della risposta sta nelle guerre di politica estera e nella debolezza istituzionale di Bruxelles. Inoltre, non ha aiutato il fatto che il blocco europeo è in una fase di transizione sul piano della leadership, con il nuovo governo tedesco che si è appena insediato, le elezioni presidenziali francesi incombenti e la ritrovata credibilità dell’Italia messa nuovamente in discussione mentre il parlamento litiga sul prossimo presidente della Repubblica». Un’analisi felpata, che si può tradurre così: uscita di scena Angela Merkel, unica vera leader in Europa, l’Ue sta mostrando tutta la sua debolezza istituzionale e militare.
«L’Unione europea non può permettersi di essere assente in un momento di crisi del genere», scrive Tocci. Ma che fare? Il suo suggerimento è di rivitalizzare il formato Normandia, il gruppo di paesi (Germania, Russia, Ucraina, Francia) che in passato ha gestito il caso Ucraina, allargandolo a Stati Uniti, Regno Unito e Italia. Sì, anche all’Italia di Mario Draghi, poiché è stata formalmente consultata dagli Stati Uniti in questa crisi, e non sembra un caso. Da sempre in ottimi rapporti con gli Usa e con Biden sul piano personale, Draghi ha da qualche tempo un filo diretto con Putin, il quale ha dichiarato pubblicamente di avere parlato più volte al telefono con il premier italiano, che stima. Questo significa che la soluzione del caso Ucraina potrebbe passare anche per Roma. Ovviamente a patto che l’unica risorsa politica su cui si basa attualmente la credibilità internazionale dell’Italia, cioè Draghi, non sia indebolita, o peggio messa fuori gioco, dai penosi giochetti dei partiti intorno al Quirinale, con certe candidature di cui il mondo intero già ride.