La Stampa, 18 gennaio 2022
Arrigo Sacchi parla di Berlusconi
«Solo un genio poteva pensare a me». E così è subito chiaro da che parte stia Arrigo Sacchi. E, soprattutto, che cosa pensi della scalata al Colle di Silvio Berlusconi. «Il genio», se non si fosse capito. Istruzioni per l’uso: c’è un calcio prima di Sacchi e uno dopo. Arrigo da Fusignano, l’ultimo vero rivoluzionario. Ha vinto tutto con il Milan, meno di quello che avrebbe potuto fare con quel po’ di squadra che allenava gli rinfacciano ancora i detrattori in imperituro servizio. Ha diviso l’Italia del pallone proprio come Berlusconi, il suo presidente, ha fatto con l’Italia tout court.
Arrigo, se l’aspettava questa candidatura?
«Da Berlusconi ti puoi attendere ogni cosa. Lo penso da quella volta che mi disse "la seguirà" dopo che alla guida del Parma avevo battuto il suo Milan. Ricordo ancora: ci vediamo una sera a Milano Marittima, mi mette subito a mio agio e dopo neanche mezz’ora mi sembra di conoscerlo da sempre. Io non ero nessuno e così buttai lì: o siete dei geni o siete dei pazzi ad affidarvi a me. Io avrei dovuto incontrare il conte Pontello per allenare la Fiorentina, Berlusconi mi fece firmare con il Milan il giorno prima. Mi dimostrò subito di avere grandi progetti, mi disse che saremmo diventati la squadra più forte del mondo. Ed è andata proprio così. Aveva una carica tale che era impossibile resistergli».
Le ha mai confessato, "Arrigo da grande farò il presidente della Repubblica"?
«No, ma è un uomo che non solo si pone degli obbiettivi. Li raggiunge anche. Quando era presidente del Consiglio e io ct della Nazionale, mi disse: "Se riesci anche nell’impresa di vincere il Mondiale ti faccio fare il ministro dello Sport"».
E lei che cosa rispose?
«Che il ministero non c’era. Lui scoppiò a ridere e mi disse che l’avrebbe inventato apposta. E se avessimo vinto, sono sicuro che avrebbe provato a farlo».
Scusi, ma come fa un uomo che ha diviso l’Italia per oltre 30 anni, a pensare ora di rappresentarla tutta?
«Berlusconi è intelligente, generoso. E si fida. Pensi che una volta gli ho fatto comprare un giocatore che aveva una menomazione al ginocchio tale da causargli un deficit fisico del 20%».
Nome?
«Un certo Carlo Ancelotti»
Va bene, ma non è un po’ poco per candidarsi a Capo dello Stato?
«Guardi, non mi tiri dentro nella bagarre politica. Io in una stessa elezione ho votato Bonaccini, che conosco e stimo molto, e Berlusconi che ho visto da molto vicino. Penso per questo di essere obbiettivo».
Quindi come la mettiamo con le vicende giudiziarie del Cavaliere. Un presidente della Repubblica deve essere senza macchia o no?
«Parlo per quello che so. Berlusconi con me è sempre stato senza macchia. E ho lavorato con lui per 5 anni al Milan e per altri dieci a Mediaset. È stato accusato di tutto, incredibile. Nei miei confronti si è sempre comportato in maniera cristallina, non mi ha mai dato una lira in nero».
Se fosse uno dei Grandi Elettori non avrebbe dubbi allora?
«Lo stimo, gli sono amico e riconoscente. Si, se fossi in Parlamento lo voterei. E poi, dopo tutti i guai fisici che ha avuto, sarebbe per lui un gran finale».
A proposito: dopo tutto quello che ha passato, problemi di salute e guai giudiziari, se l’aspettava ancora in prima linea a 85 anni?
«Berlusconi è come quella vecchia pubblicità – che Sacchi adatta un po’ alla bisogna, ma insomma rende l’idea – più lo mandi giù più lui si tira su».
Presto sapremo il destino della sua candidatura, ma si è fatto un’idea di come verrà ricordato Berlusconi nei libri di storia?
«Vedo molta poca serenità nei giudizi su di lui. Comunque, mi dia retta, è ancora presto per parlarne al passato».
Immagini Berlusconi nelle stanze del Quirinale: uno come lui abituato a decidere, non si sentirà come un leone in gabbia visto il supremo ruolo istituzionale che quella carica comporta?
«Per come l’ho conosciuto io, non è affatto un decisionista. Nel nostro primo Milan si era innamorato di Borghi, un attaccante argentino che io non ritenevo adatto al mio gioco. Voleva tenerlo e invece mi diede retta e lo vendemmo il prima possibile. Sa ascoltare gli altri. Gli ho fatto comprare anche giocatori non proprio in linea con la sua mentalità».
Che consiglio gli darebbe?
«Di avere una grande pazienza. Al tempo del Mondiale ’94 gli dissi: "la mia impresa è difficile, ma la tua è impossibile". Questo perché gli italiani hanno il senso della Nazione, ma non dello Stato. Che è visto come un nemico. Al tempo poi, in alcune redazioni, c’era l’ordine di sparare sulla Nazionale perché io arrivavo dal Milan e lui era premier. Finimmo secondi e non ci fecero neanche Cavalieri della Repubblica. Se non fu pregiudizio quello...».
Da premier era presidente del Milan che vinceva tutto, una squadra la cui forza e qualità è scolpita nella storia del calcio. Ora corre per il Quirinale ed è patron del Monza, sesto in serie B. Non trova che la parabola travalichi il pallone?
«Mi scappa da ridere. Che cosa vuol dire? Sono sicuro che darebbe tutto. Anche se l’Italia è peggiorata molto: una volta i barbari stavano oltre le Alpi, adesso stanno tra noi».
Lo sente spesso?
«Ultimamente un po’ meno. Sa che all’inizio non riuscivo neanche a dargli del tu?».
E poi come si è sbloccato?
«Ho seguito il suggerimento di Berlusconi».
Che fu?
«Arrigo mettiti davanti allo specchio tutte le mattine e ripeti: Silvio è uno stronzo, Silvio è uno stronzo. Così prenderai confidenza con me e poi ti riuscirà più semplice passare al tu».
Lo fece?
«Diciamo che riuscii a passare al tu».
Le ha sempre dato retta?
«No, quando era ancora proprietario del Milan gli suggerii di prendere Sarri come allenatore. Dopo trent’anni, cioè quando mi portò in rossonero, avrebbe dimostrato di essere altri vent’anni davanti agli altri. E glielo dissi».
I fatti dicono che non ascoltò il suggerimento. Non sarà per le idee, diciamo non proprio forziste, dell’allenatore toscano?
«Non credo fosse per quello. Di sicuro Sarri ha un carattere che poteva non piacergli. Quando andò al Napoli, facendo molto bene, ammise di essersi sbagliato. E, mi creda, sbagliare è un verbo che Berlusconi usa poco».