il Fatto Quotidiano, 17 gennaio 2022
Congo, il clan di Kabila e la frode da 138 milioni
Il 19 novembre scorso, sulle pagine di Mediapart, avevamo pubblicato il primo capitolo dell’inchiesta giornalistica “Congo Hold Up”, che portava alla luce uno scandalo di corruzione e malversazione di fondi pubblici nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) di cui hanno beneficiato l’ex presidente Joseph Kabila e la sua famiglia. I leaks raccolti da Mediapart, insieme ad un consorzio di altri diciotto media e cinque ong, erano composti da milioni di transazioni bancarie, contratti, mail, documenti riservati della Banca centrale del Congo, della Direzione generale delle imposte e di altre istituzioni. L’impatto dell’inchiesta è stato forte: ha imbarazzato la classe politica congolese e anche l’attuale presidente della Rdc, Félix Tshisekedi, che al suo predecessore deve la sua scalata al potere. Da allora sono seguiti ventidue articoli in tre settimane, a cui si aggiungono gli oltre 130 contributi dei nostri partner internazionali. Ecco le nostre principali rivelazioni.
L’ex presidente della Rdc, Joseph Kabila, rimasto al potere per diciotto anni, fino al gennaio 2019, e i suoi familiari si sono riforniti direttamente nelle casse dello Stato. In cinque anni, il clan Kabila e i suoi soci in affari hanno sottratto almeno 138 milioni di dollari di denaro pubblico. Soldi che appartenevano alla Banca centrale del Congo, alla Gécamines, la compagnia mineraria statale, all’Assemblea nazionale, alla Commissione responsabile dell’organizzazione delle elezioni e persino alle Nazioni Unite. I soldi venivano trasferiti sui conti della Sud Oil, una società di facciata controllata dal fratello e dalla sorella di Joseph Kabila, di un’azienda di importazione di prodotti alimentari, la Egal, gestita da personaggi vicini all’ex capo dello Stato, di una misteriosa società portuale di proprietà di Joseph Kabila dal 2015, di sei membri della sua famiglia e ancora di un’azienda tessile, la Sotexki, controllata al 60% da un fratello di Kabila, Francis Selemani. La frode è stata possibile grazie alla complicità di una banca, la Bgfi, di cui la famiglia Kabila controllava la filiale congolese. La filiale francese ha fatto transitare decine di milioni di dollari in operazione sospette. L’inchiesta ha rivelato anche come due gruppi industriali cinesi si siano aggiudicati nel 2008 un faraonico contratto minerario da 6,6 miliardi di dollari, il più grosso in Rdc, corrompendo la famiglia Kabila e i suoi soci. E che la Gécamines, la compagnia mineraria nazionale, ha versato 530 milioni di dollari di tasse alla Banca centrale, di cui l’Ispettorato generale delle Finanze (Igf) non ha trovato la minima traccia nelle casse dello Stato. Ma i 3,5 milioni di documenti a cui il consorzio giornalistico ha avuto accesso non riguardano solo la famiglia Kabila né solo la Rdc. Almeno due ministri dell’attuale presidente Félix Tshisekedi portano avanti attività lucrose in cui rischiano il conflitto di interessi. Esistono possibili reti internazionali di riciclaggio di denaro legate a individui accusati di finanziare Hezbollah e a diversi uomini d’affari indiani basati nella Rdc. Degli attori economici francesi ed europei ne trarrebbero beneficio. Società francesi hanno ottenuto contratti sotto Kabila in circostanze discutibili. Un uomo d’affari belga, Philippe de Moerloose, si è arricchito gonfiando le fatture di trattori e altre attrezzature agricole vendute al Paese la cui popolazione è tra le più povere al mondo. L’inchiesta ha infine permesso di fare luce sul disastroso progetto immobiliare “La Cité du fleuve”, nella capitale Kinshasa, il cui promotore è un uomo d’affari francese. Il primo ministro del Belgio, prima potenza coloniale in Congo, Alexander De Croo, è stato tra i primi a reagire alle nostre rivelazioni: “Ogni forma di corruzione è inaccettabile”, ha detto il 19 novembre stesso, ma, ha aggiunto, è “nell’interesse stesso della Rdc” che questa vicenda sia venuta a galla. Nella Rdc, diverse Ong, tra cui “la Lucha”, hanno fatto appello alla giustizia.
Il portavoce di Joseph Kabila, senza smentire nulla, ha osservato che la “Congo Hold Up” non presentava alcuna prova “dell’implicazione fattuale” dell’ex presidente in queste frodi. In un comunicato, la banca Bgfi ha negato le “pratiche discutibili” che le sono rimproverate. Un sito congolese ha denunciato il complotto internazionale. Il 24 novembre, la giustizia della Rdc ha aperto un’inchiesta giudiziaria contro l’ex presidente Kabila e il suo clan su richiesta della Guardasigilli Rose Mutombo: “Non possiamo ignorare tali accuse”, aveva detto il portavoce del governo Patrick Muyaya. In realtà, la posizione di Félix Tshisekedi è ambigua. “Congo Hold Up” può mandare in frantumi il fragile equilibrio politico del Paese. La vittoria di Félix Thsisekedi alle elezioni presidenziali del dicembre 2018 è segnata da gravi irregolarità: il 20 gennaio 2019, la Corte costituzionale lo ha dichiarato vincitore malgrado ci fossero prove materiali che era stato il suo avversario, Martin Fayulu, a raccogliere il maggior numero di voti. Per diventare presidente, Tshisekedi ha firmato nel 2019 un accordo politico (il cui contenuto esatto non è noto) con Joseph Kabila. All’epoca Tshisekedi disse che non avrebbe “scavato nel passato” del suo predecessore. E infatti Kabila e la sua famiglia non sono mai stati indagati. L’inchiesta giudiziaria aperta dopo le nostre rivelazioni potrà andare fino in fondo? I segnali non sono incoraggianti. Jules Alingete, capo dell’Ispettorato generale delle finanze, ha finito col far cadere le accuse contro l’azienda di importazione di prodotti alimentari Egal, controllata dal clan Kabila, nello scandalo dei 43 milioni di dollari sottratti alla Banca centrale, diversamente da quanto aveva dimostrato la nostra inchiesta. Il 25 novembre, in una lunga intervista a Radio France International, il capo dell’Igf aveva spiegato di aver scagionato Egal per non essere riuscito a ottenere tutti i documenti necessari: i giornalisti di “Congo hold-up”, aveva detto, “hanno raccolto più informazioni di noi e sono riusciti a identificare i veri beneficiari”. Ma, in un’altra intervista, rilasciata lo stesso giorno ma diffusa quattro giorni dopo, Alingete ha cambiato completamente versione e affermato che la banca Bgfi era la sola responsabile e che Kabila e i suoi non avevano intascato nulla. Di sicuro dietro le pressioni del presidente Tshisekedi, il capo dell’Igf ha denunciato a sua volta un “complotto della stampa internazionale”. Il vero banco di prova per Félix Tshisekedi sarà però il caso Gécamines. Il 3 dicembre, il presidente ha licenziato senza spiegazioni il potente Albert Yuma, un uomo vicino a Kabila, dalla presidenza della compagnia mineraria nazionale. Di sicuro per via della nostra inchiesta “Congo hold-up”. Due settimane prima, avevamo infatti rivelato che Gécamines aveva versato 20 milioni di dollari a Sud Oil, una società di facciata della famiglia Kabila. Via una lista di domande che gli avevamo inviato, il presidente era del resto stato informato che presto avremmo pubblicato un’inchiesta sull’enorme scandalo di 530 milioni di “anticipazioni fiscali” pagate da Gécamines. I nostri documenti provano che parte del denaro era stato sottratto indebitamente, in particolare a beneficio della famiglia Kabila. Un’inchiesta è in corso all’Igf. Seguiranno azioni in giustizia? Quando lo abbiamo contattato, il ministro delle Finanze, Nicolas Kazadi, ha rifiutato di risponderci, denunciando la “montatura mediatica” della nostra inchiesta che avrebbe, secondo lui, “screditato l’immagine del Paese e oscurato gli sforzi reali che il governo attuale sta facendo nella lotta alla corruzione”. “Nel settore minerario la frode e la corruzione hanno raggiunto dimensioni vertiginose – ha detto Jules Alingete al giornale Jeune Afrique -. Sarebbe un miracolo se il nostro lavoro finisse col dimostrare il buon governo della Gécamines”.
Il presidente congolese dovrebbe ricevere a breve il rapporto finale dell’Igf e, data l’entità della frode, Félix Tshisekedi dovrà per forza di cose far fronte alle proprie responsabilità. (Traduzione di Luana De Micco)