Quirino Conti per Dagospia, 16 gennaio 2022
GIANNI VERSACE NON ERA COSÌ – QUIRINO CONTI: “LA MODA ERA QUESTA. S’INTRODUCEVANO INDOSSATORI CONSENZIENTI, COME TANTI “PESCIOLINI” DI CORTE, NEI LETTI DI CHI SI VOLEVA. E DA QUALCHE TEMPO IL DANARO LIQUEFACEVA LE OPINIONI. FINCHÉ NON ARRIVARONO LA STUPEFATTA INNOCENZA DI GIANNI VERSACE E LA SUA DOLOROSA FATICA DA GIOVANE IMMIGRATO. PERCHÉ GIANNI VERSACE ERA COSÌ: UN INNOCENTE CHE GLI APPLAUSI DELLA PIÙ SERVILE ACCADEMIA RESERO L’IDEALE VITTIMA DESIGNATA DEL SUO TEMPO” -
Tra il 14 e il 18 gennaio, Milano è tornata – con una minestrina particolarmente allungata – a presentare le sue volenterose collezioni Uomo.
Presenze di rilievo? Forse neppure una decina. E come in tutte le feste comandate, il ricordo del passato torna crudelmente a mordere. Soprattutto per le assenze.
Gianni Versace avrebbe oggi settantasei anni, se fosse ancora costretto a calcolare la vita con degli aridi numeri. Per noi terrorizzati terrestri, una quantità neppure eccessiva, a guardarsi attorno: dal momento che il consumo, pur inscenando ormai teatrini appena post-adolescenziali, sposta continuamente un po’ più in là il limite della giovinezza.
Ma per Gianni Versace non possono esserci dubbi. Fu crudelmente strappato dalla vita in un triste giorno del 1997. E da un luogo tanto impietoso da potervi inscenare l’ultima dimora di un Imperatore della Decadenza.
Lo vollero a quel modo, come un Tiberio a Capri, il cinismo degli adulatori e, su tutti, l'avidità della stampa e dei suoi emissari, per poter finalmente dare fondamento alle loro morbose elucubrazioni. Ma Gianni Versace non era così.
A lui toccò il destino di chi deve espiare origine e natura: quasi in un ottocentesco melodramma. E dopo che in tanti provarono senza esito a indossare la sua faticosa divisa, è naturale domandarsi cosa ne sarebbe stato di quella masnada di cortigiani che – assieme alla plebe redenta dal craxismo – sembravano aver cancellato per sempre Dio e il suo Paradiso. Ma Gianni Versace non era così.
Perché dopo di lui, per i suoi interpreti – fotografi e narratori – calò impietosa la mannaia del Tempo. Ma Gianni Versace non era così.
Dovette forzosamente adattarsi a tutti i “neo” inventati da scribi logorroici, a tutte le ebbrezze concertate dai suoi orchestrali, a tutte le finalità imbastite dai suoi sceneggiatori, che rimbalzavano dall’America a Milano.
La Moda era questa, purtroppo, già molto prima che si scoprissero le trame dei suoi più solleciti seduttori: s’introducevano indossatori consenzienti, come tanti “pesciolini” di corte, nei letti di chi si voleva. E da qualche tempo il danaro liquefaceva le opinioni.
Finché non arrivarono la stupefatta innocenza di Gianni Versace e la sua dolorosa fatica da giovane immigrato. Purtroppo non c’è stato chi non abbia voluto mescolare la sua epopea con quella del Rocco di Visconti. Ma lui non era così: piuttosto, semmai, la sua è stata l’epopea di un nuovo Ludwig, costretto al titanismo da un sogno costante di redenzione. Perché Gianni Versace era così: un innocente che gli applausi della più servile Accademia resero l’ideale vittima designata del suo Tempo.