Robinson, 15 gennaio 2022
Molière e Margherita
Era febbraio 1673 quando Armande Béjart, la vedova di Molière, fu ricevuta da Luigi XIV. Il racconto di quell’udienza è questo: «Armande (...) crollò ginocchioni e scoppiò in pianto. Il Re l’aiutò a sollevarsi e domandò: “Che posso fare per voi?”». La signora disse che la Chiesa si opponeva a dare degna sepoltura al suo sposo appena defunto. Il monarca promise di fare il necessario per riparare la situazione, convocò l’arcivescovo di Parigi, e gli ordinò di evitare «non solo la pompa ma anche lo scandalo». Il resoconto di sopra è dovuto a La vita del signor de Molière, un romanzo a sfondo biografico in cui fatti veri si mescolano all’invenzione letteraria, e uno dei più bei libri scritti da uno dei più grandi autori del secolo scorso Michail Bulgakov. Bulgakov a sua volta, conosciuto soprattutto per il suo capolavoro Il maestro e Margherita, un viaggio a fianco dell’Anticristo (forse) falso redentore in una Mosca dei primi anni Venti, probabilmente si identificava con Molière. Il loro rapporto con il potere dei due non era dissimile, anzi.
Ma procediamo con ordine. Di La vita del signor de Molière, esistono numerose edizioni italiane. L’ultima, in ordine cronologico, proposta in occasione del quattrocentesimo anniversario della nascita del commediografo francese, al secolo Jean- Baptiste Poquelin, in uscita con Feltrinelli in edizione economica, è a cura di Serena Prina.
Prina ha voluto rimarcare la visione “russa” che di Molière dà l’autore, compresa la traduzione in russo, appunto di una parte della topografia parigina. L’ipotesi convince, perché questo testo, meraviglioso, ironico, disilluso e pure pieno di vitalità, scritto fra il 1932 e il 1933 è profondamente ancorato nella realtà dell’Urss staliniana e riflette il rapporto complesso fra Bulgakov e il dittatore del Cremlino. Detto con una certa brutalità: Bulgakov subiva il fascino di Stalin e Stalin a sua volta, in qualche modo, l’aveva protetto. O se vogliamo: il tiranno non gli regalò niente ma gli risparmiò il destino di un Osip Mandelstam, reso folle, confinato in provincia, infine morto di stenti in un Gulag.
Sia concessa un’altra citazione. Siamo dunque al 18 aprile 1930. A casa Bulgakov suona il telefono. «Adesso le parlerà il compagno Stalin». Ed ecco che Stalin dice: «Abbiamo ricevuto la sua lettera. (…)A tal proposito riceverà una risposta positiva. Ma è proprio vero che lei chiede di andarsene all’estero? Siamo stati così cattivi?». Bulgakov: «Ho pensato molto negli ultimi tempi se uno scrittore russo possa vivere fuori dalla sua patria. E mi sembra di no». Stalin: «Ha ragione. Anch’io la penso così. Dov’è che vuole lavorare? Al Teatro d’Arte?». Bulgakov: «Sì. Ne avevo parlato, ma ho ricevuto un rifiuto ». Stalin bonariamente lo invita a non scoraggiarsi: «Invii loro una richiesta. Penso che accetteranno. Noi dovremmo incontrarla, parlare con lei». Bulgakov: «Sì, Iosif Vissarionovic, ho molto bisogno di parlare con lei». «Bisogna trovare il tempo e incontrarci. Le auguro ogni bene». E infatti, poco dopo, Bulgakov venne ingaggiato nel Teatro d’Arte come aiuto regista. Ma prima di quella conversazione aveva scritto un’accorata lettera al governo. Lamentava la persecuzione di cui era oggetto. I suoi libri erano proibiti, la casa perquisita dalla polizia segreta, le pièces teatrali ritirate. Lui, ebbe di sé una certa autostima. Scrisse a Stalin: «Nell’ampia arena delle lettere russe in Urss io sono stato l’unico lupo letterario. Mi hanno suggerito di tingermi il pelo. Un consiglio assurdo » e così via.
Ecco, veniamo alla situazione di Molière. Il suo Tartuffo è stato oggetto di proibizioni e censure. Difficoltà ebbe il Dom Juan e venivano osteggiate altre sue pièces. Anche Molière scriveva lettere e suppliche a Luigi XIV. E infatti il Re lo proteggeva, aveva concesso alla sua compagnia la sala del Palais Royal, interveniva nei suoi spettacoli ( una forma di controllo ma pure di protezione appunto), gli cambiava i testi o gli faceva capire che occorreva modificarli.
Il Re Sole era l’emanazione della Divinità, la sua parola era Legge, a Versailles l’etichetta era tutto, la distanza o lontananza dal Monarca decideva le sorti dei cortigiani, e in fondo, quella dimora era un’enorme prigione di lusso, dove tutti venivano sorvegliati e spiati. Il Cremlino, vi assomigliava, con i riti e la sorveglianza, l’etichetta meno raffinata ma molto articolata, e con Stalin al centro. Il culto della personalità iniziava ufficialmente a fine 1929 con una edizione della Pravda, organo del Partito, interamente dedicata alla sua infallibilità. Stalin diventava così la reincarnazione di Lenin, privato di sepoltura vera, imbalsamato, come un Faraone. Insomma, un Re Sole e una reincarnazione di Faraone. In mezzo, due artisti giganti, affascinati ( come spesso sono gli artisti, lo dice Bulgakov stesso) dal potere. Che li protegge, per capriccio, massima espressione dell’illimitato arbitrio.