Specchio, 16 gennaio 2022
Che fine ha fatto Maurizio Ferrini
Con quei tratti russo-padani che si ritrova, Maurizio Ferrini non poteva che vestire i panni del compagno romagnolo, quello che passava ogni mese di settembre a montare tubi Innocenti alla Festa dell’Unità. Arbore lo scoprì e lo fece parte del cocktail di Quelli della notte, stralunato talk show dove il venditore di pedalò della ditta Cesenatica magnificava i silos di missili in Unione sovietica, concludendo puntualmente ogni intervento con un ecumenico «non capisco, ma mi adeguo». Oggi Ferrini, 68enne e «single, ma non per scelta», come precisa lui stesso, guarda alla vita con la saggezza di chi ha conosciuto fama e successo prima di finire nell’album dei ricordi.
Ecco perché negli ultimi mesi, con cadenza settimanale, ha portato la sua signora Coriandoli nell’osteria di una sua vecchia amica, nel centro medievale di San Marino dove sta per prendere la residenza, a importunare bonariamente i commensali col suo buon senso da casalinga di provincia.
La prima passione è sempre stata il cinema, fin dall’età di sei anni, quando si mise a vedere cinque film a settimana nella sua Cesena per non smettere più. E poi i viaggi, con un particolare trasporto per l’Oceano Pacifico trasmesso, anche quello in giovane età, da un documentario di Folco Quilici sulla Polinesia. Il film preferito, coerentemente, è L’ammutinamento del Bounty con Marlon Brando.
Il padre incoraggiò la sua inclinazione e gli fece imparare a memoria i nomi di sessanta capitali, un elenco che si concludeva con Lisbona, al che il papà esclamava con ammirazione «porca vigliacca!». «Da allora fu sempre Lisbona-porca vigliacca», chiosa Ferrini, la cui terza passione è la lettura: «Saggi, esplorazioni, storia antica egizia e romana, storia medievale. Io in realtà sono un grafico, ho studiato alla Scuola politecnica di design di Milano dove insegnava Bruno Munari».
Al cinema è stato un grande comprimario in Compagni di scuola di Carlo Verdone, dove assecondava il finto handicap di Alessandro Benvenuti, è stato diretto da Carlo Vanzina in Sognando la California, ha bordeggiato la commedia all’italiana d’autore partecipando al Commissario Lo Gatto di Dino Risi, che lo affrescò con un’immagine fulminante dicendogli: «Maurizio, tu hai un cranio da criminale». Amico personale di tre mostri sacri della tv, Renzo Arbore, Gianni Boncompagni e Antonio Ricci, nei primi Anni 90 ha condotto Striscia prima di inabissarsi nel mare dei dimenticati a causa di presunti atteggiamenti snob che l’ambiente cinematografaro romano non gli perdonò, finendo per escluderlo dal giro: «Quando ho iniziato a dire no ai film stile Vacanze di Natale, cosa che cominciò col primo Yuppies, perché non mi rappresentavano, mi hanno stesso un cordone sanitario intorno. “Ah, ma Ferrini è un fuori di testa, uno snob inaffidabile”, e fortuna che non mi hanno mai detto che portavo sfiga».
La depressione fu una conseguenza inevitabile cui Ferrini reagì mettendosi a scrivere: «Ora posso dire che non sono mai stato creativo come lo sono oggi. D’altra parte l’aquilone si alza contro vento, e la depressione si è trasformata in foga creativa». Non ebbe paura di confessare pubblicamente le sue difficoltà quando approdò dalla D’Urso e all’Isola dei famosi e a questo proposito cita Totò: «Chi non conosce lo squallore delle camere in affitto ammobiliate non può far ridere», così ha continuato a scrivere e ideare progetti, come il film autoprodotto in cui farà incontrare il comunista e la signora Coriandoli. Del mondo del cinema che gli ha chiuso le porte conserva aneddoti come il matrimonio del produttore Franco Cristaldi con Zeudi Araya, quando gli invitati scoppiarono a ridere in chiesa a sentir pronunciare i nomi esotici dei parenti della bellissima sposa – «quanto si arrabbiò Cristaldi» -, così come il nomignolo irripetibile appioppato ai fratelli Vanzina. A quale sia il soprannome, il compagno Ferrini risponderebbe, arrotando la esse romagnola, «Sono cose che non si possono dire».