Specchio, 16 gennaio 2022
Biografia di Marisa Laurito raccontata da lei stessa
Napoli sta a Marisa Laurito come la pizza sta al forno a legna, il sole al mare di Posillipo, il pesce all’acqua pazza, Capri ai Faraglioni, la fantasia alla generosità, la bellezza all’allegria, la comprensione alla compassione, la città all’energia del Vesuvio. Parlare di un’amica non è compito facile, della migliore amica diventa impervio. Quarantanni di risate, di lacrime consolante, di viaggi, di liti, di riappacificazioni, di affetto scambiato quanto l’aria. Viene una sorta di pudore per quel sentimento che è privato e si teme condividere.
Meglio partire da Napoli. Che ha significato nascere in questa città?
«Napoli è il luogo della favola, la città incantata dove tutto può accadere con il Vesuvio, la nostra montagna sacra che dà vibrazione di morte. Nascendo a Napoli sai da subito che tutto può finire da un momento all’altro. È da tale certezza che viene la passione, è il sangue del vulcano che ti ribolle nelle vene».
Per questo l’ha trasportata in effigi nella sua casa romana?
«La mia casa è tutta Napoli: San Gennaro, il monaciello, il Vesuvio. Una medium una volta mi disse che Napoli se ne sarebbe scesa a mare a causa di un terremoto. Ero fuori, e allora feci immediatamente la valigia e partii. Volevo morire assieme. E prima, ritrovare la Napoli del Cristo Velato, della Ortese, di La Capria, di Goethe e della Serao».
Una preveggenza presa per buona. Lei crede nel trascendente?
«Io sono sperante nella reincarnazione. Ho vissuto delle esperienze che mi hanno molto cambiata. Ho provato lo sdoppiamento da me, dal mio corpo. Vedevo tutto dall’alto. È stato un momento di intensa felicità, mai più provata così forte. Da lì ho cominciato a studiare, a leggere libri in tema, ho scoperto che questo percorso non era solo mio e la condivisione mi ha portato verso altre spiritualità. All’inizio esisteva l’intuizione, io l’ho cercata e protetta liberandola dalle sovrastrutture da cui siamo appesantiti, comportamenti borghesi che ti cautelano ma ti impediscono d’apprezzare la saggezza della verità. In terza età sono alla ricerca della sintonia».
Ma tutto questo è iniziato molto tempo prima?
«Sì, in uno dei momenti più cupi della mia vita. Non avevo lavoro, non andavo d’accordo con mio padre. Stavo male, malissimo, non vedevo vie d’uscita. Con enorme fatica ho cercato un equilibrio che fosse mio, una filosofia che mi ha richiesto anni e anni di lavoro ma che ora mi fa stare bene. Sono stata tradita da uomini e amici, nel mondo dello spettacolo va messo in conto ma io ora reagisco con l’energia positiva. Diciamo che sono gentile per egoismo. Sono convinta che il male torni sempre indietro, come il bene peraltro».
La certezza in quello che vuole è nel suo dna?
«Immagino di sì, altrimenti non capirei come una bambina di 8 anni possa decidere di voler fare l’attrice e che soprattutto non cambi mai idea. Era la passione di una vita. E avevo deciso che Eduardo De Filippo fosse l’incarnazione di questa passione, l’esempio».
Dai e dai, appostamenti e preghiere, alla fine con Eduardo ci ha lavorato. Chi era Eduardo?
«Esigente con se stesso e con gli altri, professionalità e sacralità del palcoscenico. Con lui ho fatto il mio servizio militare. Una volta disse che il teatro è sacrificio e gelo e in quel gelo ritrovi l’essenza stessa del mestiere. Diciotto ore di lavoro al giorno, l’unico che non prevede un sindacato. Io spiavo Eduardo, lo seguivo e quando mi prese in compagnia tolse tutte le battute con la "erre" dalla mia parte».
Tanta passione, anche per gli uomini?
«Da ragazza m’innamoravo in continuazione, come tutte. In casa mia non si prevedeva l’idea del sesso, mio padre era rigidissimo. Allora per poter convivere in santa pace m’inventai un finto matrimonio. Ero fidanzata da tempo e in casa imperversava la litania dello sposarmi. Allora decisi per questo escamotage. Fu comunque una bella festa con tanto di prete finto. Non credo nel matrimonio, sono convinta che l’amore vada consumato senza farlo appassire nell’abitudine».
Però poi un matrimonio vero c’è stato...
«Appunto. Un matrimonio durato tre mesi e il viaggio di nozze fatto con una mia amica perché all’ultimo lo sposo non volle più partire. In Giordania. Fu un bel viaggio vero?»
Molto divertente. Poco romantico magari.
«Mi ero innamorata di Ciccio Cordova e facemmo tutto in grande velocità, non avemmo il tempo di conoscerci prima. E una volta marito e moglie ci ritrovammo con due caratteri incompatibili: lui chiuso in casa, io sempre fuori e soprattutto mi fece terra bruciata con gli amici. Capisce? I miei amici sono la mia famiglia, il centro gravitazionale della mia esistenza assieme al lavoro. Intravvedevo un lato maschilista in lui che mi agghiacciava. Io che negli anni Settanta ho partecipato alle lotte femministe e ai sit-in per i diritti inalienabili dei lavoratori, mi sentivo compressa in un rapporto soffocante e vuoto».
Il bilancio sentimentale è negativo?
«Con l’avvento di Piero il bilancio si è fatto positivo. Abbiamo festeggiato quest’anno i vent’anni d’amore. Un uomo intelligente, sensibile. Chi lo ha preceduto non accettava il mio successo, ne nascevano rapporti complicati, conflittuali. Io continuavo a cercare un modello maschile di carattere che poi si rivelava di tipologia sbagliata per me, persone che non accettavano di essere il numero due della coppia».
Però niente figli. Una scelta che lei ha definito molto dolorosa. Perché prenderla allora?
«All’inizio fu una decisione giovanile maturata perché non avevo partner all’altezza del ruolo. Quando diventai popolare, non avevo tempo. E neanche il padre giusto. I figli vanno messi al mondo per loro e vanno seguiti, indirizzati, amati, educati. Richiedono tempo e soldi. In momenti diversi non ho avuto l’uno e gli altri. Sono convinta che un bambino abbia bisogno dell’amore e poi dei riscontri di un femminile e di un maschile. Non comprendo quelle donne che ricorrono all’inseminazione in mancanza di una figura paterna. Lo trovo sbagliato ed egoista».
Con il suo attuale compagno, Piero, un figlio l’avrebbe voluto?
«Con Piero sì, senza dubbio. L’ho subito riconosciuto come portatore di benefici per me. Mi era successo pure con De Crescenzo. Come ho visto Luciano ho capito che avrebbe fatto parte della mia vita. E Luciano mi ha presentato Renzo Arbore e Renzo, Piero. Sono i destini della vita che si incrociano».
Si parlava di amici. Alla nostra età, pesano troppe assenze vero?
«Mancanze che ci fanno soffrire. Gigi Proietti lo rimpiango tanto, Luciano De Crescenzo, lo avrei sposato. Nori Corbucci che mi è stata sempre vicina, Mariangela Melato».
Adesso tra le tante scommesse ha vinto quella per Napoli riportando a splendore il Teatro Trianon Viviani, nel complesso quartiere di Forcella, interamente dedicato alla canzone napoletana, con una "Stanza delle meraviglie" che con trovate d’alta tecnologia riporta il visitatore nell’anima della canzone napoletana. Pura poesia, suggestione e tanti spettacoli. Teatro che è un presidio contro la camorra. Anche per questo impegno civile le è stato tributata dal presidente Mattarella l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica?
«Dell’onorificenza non posso parlare, con il teatro avviciniamo tanti giovani strappandoli alla strada, un lavoro faticoso, duro, che mi compensa con tante soddisfazioni come due serate riprese da Rai1 durante le feste con ottimi ascolti televisivi».
Tra le passioni lei include anche l’arte che l’ha vista impegnata in tante mostre ospitate persino in Biennale a Venezia e l’amore per i cani.
«Ora sto preparando un’altra mostra, tema inquinamento e umanità abbandonata. Per quanto riguarda i cani, ho sempre detto a tutti: la mia è una casa con cani. Chi non li ama se ne stia alla larga».
Certo, una cosa sono i cani, una cosa era buonanima di Gennarino, il mastino napoletano di 80 kg che ha spaventato tutti, che si mangiò una teglia sana di pasta al forno, che bloccò piede e caviglia di un malcapitato intento solo a scavalcare la soglia. Per non parlare di una sua amica che per poco non ebbe un infarto trovandoselo davanti a fauci spalancate.
«Gennaro fu l’estremo regalo di un fidanzato che lasciandomi me lo consegnò. Era un cucciolo e pesava 40 Kg. Faceva 30 litri di pipì al giorno e allargò il parquet della casa di Totò, diventata studio del mio agente. Ero disperata, poi un produttore, Riccardo Manao venuto a casa per offrirmi un ruolo da protagonista nel film venezuelano con Banderas, si prestò a un affidamento congiunto che durò pochissimo. Ci fidanzammo e Gennarino tornò trionfante in pianta stabile».
L’unico cane di razza pregiata, gli altri erano tutti trovatelli.
«Sì l’unico di razza. Gennarino era bellissimo, a Natale gli mettevo una coccarda rosso fuoco in testa. Una volta Bud Spencer, Sergio Corbucci, Giuliano Ferrara, Paolo Villaggio e Luciano De Crescenzo che impugnava una sedia rovesciata come i domatori dei circhi, si chiusero in uno sgabuzzino per paura di Gennarino che li aspettava fuori dalla porta. Io invece temevo che con tutto quel peso concentrato ce ne cascassimo al piano di sotto. De Crescenzo, serio, mi propose di mandare Gennarino sulla Luna come Laika "Così ce ne liberiamo a vita". E lo diceva veramente».