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 2022  gennaio 16 Domenica calendario

In India la dieta è politica e il nemico è la frittata

I raid sono scattati poco dopo il tramonto. Squadre di agenti in borghese si sono accanite contro i baracchini accusati di vendere prodotti che «offendono i sentimenti religiosi della comunità». Alcuni sono scappati spingendo carrelli pieni del "frutto proibito", uno degli alimenti più fragili al mondo: le uova. Altri sono restati a guardare attoniti, mentre la polizia sfasciava vassoi di uova, danneggiando verdure, pane, piatti, bicchieri, sgabelli e bombole del gas, tutto ciò che serve a preparare le deliziose frittate che hanno reso famose alcune strade di cinque importanti città dello Stato del Gujarat, nel nord ovest dell’India, compresa la capitale Ahmedabad, dove sono scattate le leggi rompi-uova.
Agguati ai "treni delle vacche"
Caccia aperta al frittataro. Perché? Perché in India la dieta è politica. E perché l’uovo è un prodotto animale e il vegetarianismo militante nel Gujarat, come in altri Stati del nord dell’India, è un tema sensibile attorno al quale si è consolidato un senso di identità religioso imprescindibile, pieno come un uovo di tipiche contraddizioni indiane. Il vegetarianismo violento si è radicalizzato dal 2014, quando il partito dei nazionalisti e fondamentalisti indù, il Bharatiya Janata Party di Narendra Modi, è tornato al potere. Di conseguenza, l’illusione che non mangiare carne porti organicamente alla non violenza si è rivelata fallace, dando spazio a un fanatismo erbivoro senza precedenti, con dozzine di aggressioni da parte di vegetariani militanti. Negli ultimi otto anni sono sempre più frequenti gli atti di violenza e gli omicidi di commercianti di carni bovine, spesso musulmani, linciati da "vigilantes delle vacche" induisti ben organizzati in bande di gau rakshak, che si coordinano su WhatsApp per segnalare trasporti di carne e tendere imboscate a chi commercia carne di vacca, animale sacro per gli indù. Dal 2014, in ben 82 attacchi sono stati uccisi 43 indiani, e feriti 108, perché trasportavano carne, o perché accusati di farlo. La maggior parte erano musulmani.
Le mille sfumature vegetariane
Questo vegetarianismo arrogante, iniziato con le vacche sacre, ora è arrivato ai cuochi di bread omelette del Gujarat, proprio quando in India il consumo annuale di uova durante la pandemia è aumentato da 75 pro capite a 81. Ciò porta a chiedersi se in una democrazia come quella indiana una scelta dietetica di minoranza possa limitare un diritto privato come la preferenza su cosa mangiare. Anche perché alla frequente domanda se si è "veg" o "non-veg," in India è difficile dare una risposta poiché "non vegetariano" assume sfumature diverse a seconda del contesto regionale, di classe o casta. Prodotti contenenti uova, omelette e pesce per alcuni sono parte di una dieta "veg". Tecnicamente non lo sono, ma in India dipende dal contesto. Si sa che "pure veg" vuol dire che non si mangiano animali, ma si ingeriscono però prodotti animali, come il latte e il "paneer," il tipico formaggio indiano; quindi, il "pure veg" non è vegano.
Carnivori in segreto
Il vegetarianismo in India è una scelta di minoranza poiché, nonostante la percezione sugli stereotipi che può avere l’Occidente, pur essendoci il più alto numero di vegetariani pro-capite, le stime più recenti fanno oscillare "chi si dichiara" vegetariano tra il 23 e il 37 %, con notevoli differenze regionali: picchi alti al nord e percentuali molto al di sotto del 10 per cento al sud. Nel Telangana, Andra Pradesh e Bengala Occidentale i carnivori dichiarati sono oltre il 98%. Ma studi come quelli dell’antropologo Balmurli Natrajan e dell’economista Suraj Jacob rivelano perché molti degli intervistati preferiscano dichiararsi vegetariani quando invece non lo sono realmente: per timore dei linciaggi e degli ostracismi di casta dei fondamentalisti.
Tutto inizia nel VII secolo
Il vegetarianismo affiora globalmente nello stesso periodo storico. Prima in India, nel VII secolo a.C., sotto la spinta delle scritture vediche, e un secolo dopo tra Giainisti e Buddisti. Nell’antica Grecia è Pitagora a promuoverlo nel VI secolo a.C. Tant’è che in Occidente chi non mangiava carne veniva chiamato "pitagorico" fino a metà del 1800 quando nacquero le prime Società Vegetariane su impulso di un ramo del cristianesimo. Successivamente, le strade del vegetarianismo si dividono nettamente. In Europa e in America, sotto la spinta di esigenze etiche, morali, di difesa per l’ambiente, la salute, la sicurezza alimentare e i diritti animali, il vegetarianismo è vissuto spesso come un percorso trasformativo laico in conflitto con i costumi carnivori delle civiltà occidentali: un gesto privato, ma rivoluzionario, tipico di chi, tranne l’eccezione notevole di Adolf Hitler, è contro la guerra, l’inquinamento, il nucleare, le multinazionali. Viene percepito tuttora come una scelta progressista.
La casta vince
In India è tutto il contrario poiché è un’usanza che discende dal bramanesimo, quindi in difesa del sistema delle caste, un rituale per elevare l’anima. Chi nelle caste meno alte lo adotta lo fa spesso perché crede che questa pratica purificante farà reincarnare la sua anima in una forma o una casta superiore. È una sorta di auto-miglioramento spirituale, ma è una prassi che conferma il castismo tra gli indù, scelta quindi conservatrice, quando non reazionaria, ora avallata con crescente veemenza dal governo conservatore. Il fatto che i musulmani considerino impuro il maiale e gli indù di casta alta adorino la vacca sacra (solo quella indiana, mangiare quelle straniere non è sacrilegio, secondo alcuni) rende il pollo la carne più consumata in India, seguito da carne di capra e agnello.
Più ricchi, più "veg"
E veniamo alle contraddizioni del contemporaneo. Nonostante le intimidazioni dei fondamentalisti, con l’urbanizzazione cronica il consumo di carne in realtà è aumentato in India. Secondo il sondaggio sulla salute nazionale delle famiglie, in questi anni il consumo di carne e uova in India è cresciuto di pari passo al reddito, fermandosi nelle élite più ristrette, dov’è invece ora più in voga il "pure veg". Maggior reddito, desideri consumistici e influenze culturali occidentali, oltre alle catene di fast food di pollo fritto e hamburger percepite come status symbol dai più poveri, spingono gli indiani di classe media a mangiare più carne, soprattutto i giovani nuovi borghesi metropolitani. Che però nei sondaggi raramente lo ammettono, perché essere vegetariani è associato all’idea di essere bramini, abbienti, eletti, più puri. La mangiano per sentirsi più moderni, ma non lo ammettono per sentirsi comunque di casta alta. E chiudono gli occhi di fronte ai vigilantes delle vacche e alle leggi rompi-uova per paura di sembrare anti-sistema e di finire sotto i bastoni dei gau rakshak.