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 2022  gennaio 16 Domenica calendario

Rileggere Joyce

Anni fa un amico colto buttò lì una domanda: «Possiamo fare a meno dell’ Ulisse di Joyce?». Si rispose subito da sé: «Sì, certo che sì: il mondo pullula di gente che fa a meno dell’ Ulisse».
Non intendeva il mondo dei bravi sciuscià, shampisti, chef, showgirl, scienziati. Parlava di scrittori e scrittrici, gente creativa del mondo editoriale e culturale, nonché critici e teorici della letteratura. Nelle facoltà di psicologia si può fare a meno di Sigmund Freud, in quelle letterarie si può fare come se l’ Ulisse di Joyce non sia mai esistito. Quindi, o tu che leggi, resta rilassato. Non hai obblighi. Senza l’ Ulisse di Joyce non solo puoi vivere tranquillo ma puoi anche ambire a fare lo scrittore e il critico. Se però la vicenda ti incuriosisce, segna sul calendario la data del 2 febbraio del 2022. Non è soltanto una data che è possibile scrivere usando solo la cifra 2 (oltre alla cifra 0): è anche un almeno triplo anniversario. Nello stesso giorno del 1882 James Joyce nacque a Dublino. Quarant’anni dopo – e cento anni fa – nel 1922, fu pubblicato l’Ulisse. Altri diciassette anni dopo, nel 1939, nello stesso giorno Joyce ricevette le prime due copie stampate del Finnegans Wake.
Essere nato e aver pubblicato
Finnegans Wake sono due dettagli certo non irrilevanti per la vita di James Joyce: dei tre eventi capitati in un 2 febbraio il più significativo è di gran lunga l’uscita dell’ Ulisse. In Italia dobbiamo saperlo, visto che (pur potendone tranquillamente farne a meno) abbiamo a disposizione un grande numero di traduzioni dell’Ulisse. Quattro solo le recentissime, e la quintultima è firmata da Gianni Celati per Einaudi. Fra tante l’edizione Bompiani (per la collana dei Classici della letteratura europea, diretta da Nuccio Ordine) mostra caratteristiche del tutto eccezionali, cominciando dal fatto che ha il testo a fronte. Consente dunque il continuo riscontro con l’originale joyciano, ciò che è sempre un po’ impietoso per il traduttore che non può mascherare in alcun modo i suoi punti di difficoltà (nell’ Ulisse ce n’è uno per riga). Il fatto è che il curatore dell’edizione Enrico Terrinoni non è solo il traduttore (alla sua seconda prova sull’ Ulisse ) ma è anche uno studioso, ed è specialista sia di Joyce sia di teoria della traduzione. Negli scorsi anni, assieme al collega Fabio Pedone ha tradotto gli ultimi libri del Finnegans Wake (per Mondadori) e inoltre ha pubblicato una cospicua raccolta di lettere e saggi joyciani per il Saggiatore. Ha dotato questa sua edizione di duecento pagine di commento e un sontuoso apparato di saggi, indici analitici, sommari, schemi, mappe, bibliografie specializzate, che ne fanno un’enciclopedia-UIisse. Meglio: un Ulisse abitabile.
La porta d’ingresso è il famoso e già problematico incipit: “Stately...”. Terrinoni traduce: «Statuario, il pingue Buck Mulligan sbucò in cima alle scale portando una ciotola di schiuma su cui uno specchio e un rasoio giacevano in croce». “Stately” significa “maestoso, solenne”. La lunghissima nota di commento a questa sola prima parola ci avvisa che il primo periodo in inglese finisce con “cross”, croce, e che dentro “Stately” c’è “State”: si stabilisce così un’opposizione pertinente fra Stato e religione. Inoltre le due lettere iniziali “st” sono le stesse di “Stephen”, protagonista di questa prima parte, e si trovano anche nel nome di “Oliver St John Gogarty”, che è il modello reale del personaggio di Buck Mulligan. Infine la “S” è la prima lettera del romanzo e sarà anche l’ultima, terminando sul famoso “Yes” di Molly. È pensabile che un lettore sia in grado di aprire tutti questi doppi fondi? Certo, no. Infatti Terrinoni parla di «tecnica ultrasubliminale»: nell’ Ulisse si sente che il testo ha diversi strati di significati, tutti appena dissimulati dalla grande insignificanza degli eventi che potevano capitare a un promotore pubblicitario ebreo nella Dublino del giugno del 1904.Se T.S. Eliot attribuiva all’ Ulisse l’importanza di una «scoperta scientifica» deve essere per questo. Proprio l’insensatezza degli eventi quotidiani, «la vita senza niente di speciale» di cui ha parlato Gianni Celati, è al centro del romanzo e lì deve stare.
Cosa può dar senso alle cose che non hanno niente di speciale? Che epica può essere, quella di una vita quotidiana dublinese? La prima cosa che siamo venuti a sapere dell’ Ulisse di Joyce è che si tratta di un romanzo “sperimentale”, scritto in una lingua niente affatto comune, con generi di scrittura diversi da episodio a episodio. La seconda cosa è che c’è uno “schema” che lo riporta all’Odissea omerica: uno, o forse due; validi o forse no. Ma ecco allora che Leopold Bloom è un nessuno ma è anche Ulisse. Ecco che dentro a “Stately” c’è lo “State”. Ogni personaggio vivo ha la rappresentanza di uno o più morti e nell’episodio di Circe tutti questi fantasmi ritornano e parlano ai vivi e tutti i vivi del romanzo si danno appuntamento in forma di fantasmi. Il senso è nel ritorno, nella ripetizione, nel richiamo: ed è un senso musicale.
Questo è ciò che rivela l’ Ulisse abitabile architettato da Terrinoni per Bompiani. Con tutte le botole e gli interstizi che segnala nei suoi apparati rende perfettamente consapevole il lettore che non sta leggendo un libro-corridoio che lo porta da un incipit a un explicit. Sta visitando un palazzo di fantasmi, che a ogni passo amplifica lo scricchiolio delle risonanze storiche, mitologiche, religiose che fatto di una vita individuale una porzione di umanità.
L’identità, le determinazioni temporali e quelle spaziali, tutte le coordinate della nostra vita consapevole possono essere messe in discussione in qualsiasi momento da un pensiero, da un incontro, una canzone. Padri, madri, mogli, mariti, figli ci si deve reinventare.
Dei libri scritti come se l’ Ulisse non fosse mai esistito ci si chiede: «Come finisce?». Di altri libri, Ulisse fra i primi, ci si può soltanto chiedere: «Finisce?».