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 2022  gennaio 16 Domenica calendario

I conti in tasca alle star di TikTok

Il logo stroboscopico ricorda una nota, un’ottava, ma assomiglia sempre più al simbolo del dollaro. Così come l’onomatopea di TikTok rimanda al motto che «il tempo è denaro» e si traduce in una cascata di quattrini: quelli che stanno piovendo addosso a una classe di nouveau riche perfettamente (o furbescamente) sintonizzata al mood adolescenziale. Talmente allineata da essere riuscita a surclassare i guadagni a sei zeri dei vecchi lupi di Wall Street e della Corporate America. 
Basta un’app cinese (sede a Pechino, proprietaria la ByteDance) e ti passa la paura del precariato, non pensi alla pensione, né ti assale l’angoscia per non aver mai letto Joyce. È l’aurea mediocritas elevata al quadrato: non danzi come Rudolf Nureyev, però sai ballare. Canti in lip-sync, come fa lo zio quando in macchina muove la bocca per emulare Toto Cutugno? Sei perfetto. Fai le smorfie come Louis De Funès? Che sagoma! E poi sei un influencer, uno capace di condizionare comportamenti e costumi, soprattutto questi ultimi, nel senso di quali mutande devi indossare. Il grano, oggi, si fa così: più follower, più soldi. Poi, arrivano i ricchi contratti e le sponsorizzazioni top. Senza sforzo. Ché l’attività generata da TikTok è più appagante di una vendita alla scoperto, non richiede lauree ad Harvard, né master al Mit ed è meno rischiosa del bitcoin e dei suoi derivati. Con la clausura da Covid, poi, è un fiorire di seguaci devoti. 
Siamo arrivati alla fase edonistica del capitalismo, che per qualcuno è una condizione da malato terminale, e per altri nuova linfa con cui innaffiare la pianta del profitto. Chi sta incassando, e bene, propende per la seconda ipotesi. Prendete Charli D’Amelio: ex danseuse professionista, tra un balletto l’altro e grazie ai 133 milioni di sostenitori, si è intascata l’anno scorso 17,5 milioni di dollari. Poi, alternando paso doble e plissé, la ragazza diciassettenne del Connecticut si è messa ulteriormente in proprio promuovendo una linea di abbigliamento e altri prodotti. Quest’anima danzante innervata di capacità imprenditoriali, capace di battere la sorellona Dixie che ha incassato appena 10 milioni a colpi di TikTok, guarda ora dall’alto in basso gli amministratori delegati delle aziende dello Standard&Poor’s 500. Quelli che per portare a casa uno stipendio medio annuo di 13,4 milioni sono costretti a destreggiarsi fra bonus e stock option, tra le contumelie della working class a stelle e strisce. C’è gente come Darren Woods che guadagna 15,6 milioni, ma vive con la spada di Damocle sulla testa nel timore di qualche disastro ambientale della «sua» ExxonMobil. E il lavoro non dev’essere una passeggiata neanche per il ceo di Starbucks Kevin Johnson (14,7 milioni), dell’ad di Delta Air Lines Ed Bastian (13,1 milioni) e del numero uno di McDonald’s, Chris Kempczinski (10,8 milioni). 
I paladini di TikTok devono però ancora fare un bel pezzo di strada prima di avvicinarsi ai 155 milioni di Robert Kotick, a capo del gigante dei videogiochi Activision-Blizzard, o ai 99 milioni del leader di Apple Tim Cook. E vedono come una stella lontana e luminosa Kylie Jenner, 300 milioni di follower su Instagram (dove cresce la popolarità del mimo italiano Khaby Lame), la celebrità più pagata del 2020 con 590 milioni messi in cassaforte grazie principalmente alla vendita di una quota del suo marchio di bellezza al proprietario di CoverGirl Coty. Però ne siamo certi: l’algoritmo top secret, con cui l’app è riuscita ad agganciare un miliardo di utenti al mese, lavora per loro. «TocToc, stiamo arrivando».