il Giornale, 15 gennaio 2022
Il ritorno a 97 anni dell’ex bimba prodigio Slenczynska
Suona il piano da quando aveva tre anni e il padre, violinista, la forzava a esercitarsi per nove ore al giorno. Oggi di anni ne compie 97 e ha un album già pronto per l’uscita a marzo. Ruth Slenczynska, una delle più grandi baby-pianiste dai tempi di Mozart, ultima discepola di Rachmaninov, statunitense di famiglia polacca, entra nell’Olimpo degli artisti più longevi con il suo «My Life In Music», registrato l’anno scorso. «Un progetto incredibile. Un’esperienza elettrizzante – dice lei, che debuttò a 4 anni, a 6 anni suonò a Berlino e a 7 a Parigi, con un’intera orchestra, mentre studiava in Europa Chi ha mai sentito di un pianista della mia età che fa un altro album?».
Quello di Ruth è l’allegro lieto-fine dell’ennesima storia segnata da padre appassionato, ambizioso, severo e ostinato, che vuole la fama della figlia per tenere vivo il suo sogno, ma la tormenta mettendola sotto enorme pressione. Ruth fin dalla culla viene considerata destinata a diventare una pianista o una violinista. Così vuole papà Joseph Slenczynski, che aveva diretto il Conservatorio di Varsavia ed era un noto violinista prima di rimanere ferito nella Prima Guerra Mondiale. Dopo il trasferimento negli Stati Uniti, Ruth nasce a Sacramento, California. Tutta l’infanzia su un pianoforte. Ma a 15 anni smette di esibirsi perché non regge più lo stress emotivo di un padre che la fa esercitare nove ore al giorno, «per ogni giorno della settimana». Lo ha raccontato lei stessa in un’autobiografia, spiegando che quando voleva «giocare con le bambole, fare rumore, saltare, correre e incontrarsi con i coetanei che abitavano in zona», il padre le diceva senza pietà: «Sono tutte cose da bambini. Non sei una bambina. Sei una musicista. Stai lontano da quei marmocchi e dai loro stupidi giochi. È tutta una perdita di tempo». Una sola meta per la testa: l’intera vita della figlia per insegnarle a tutti i costi come raggiungerla. Ma Ruth crolla e taglia i ponti anche con il padre-padrone, poi si iscrive a Psicologia all’Università della California. Passano un po’ di anni e l’enfant prodige del piano, che nel frattempo non ha mai smesso di suonare, nel 1951 torna in concerto e poi parte per un tour di qualche anno. È il grande ritorno. Da allora macina album su album con Decca, la casa discografica che, dopo sessant’anni, pubblicherà anche il disco in uscita il 18 marzo, e che includerà anche musiche di Chopin e Rachmaninov. Di quest’ultimo, uno dei suoi celebri maestri, Ruth indossa spesso l’Uovo Fabergé che le ha regalato, un ciondolo ideato alla corte dello zar e realizzato dalla nota gioielleria di San Pietroburgo. Le ha portato fortuna e palchi luminosi, uno diviso con il presidente Truman, con cui ha suonato in un duetto di Mozart, e un altro con J.F. Kennedy, alla cui inaugurazione si è esibita. Reagan le ha riconosciuto il traguardo di prima donna americana a celebrare una carriera lunga cinquant’anni. Che adesso sono molti di più.
«È straordinario pensare che Ruth abbia fatto il suo debutto in un concerto prima della nascita dei film a colori, e più o meno nello stesso periodo della nascita della televisione», hanno detto entusiasti Laura Monks e Tom Lewis, co-presidenti di Decca Label Group. «Il fatto che sia ancora al top, oltre nove decenni dopo, è straordinario. È molto difficile pensare a qualcuno, in qualsiasi professione, che abbia raggiunto un periodo di eccellenza così prolungato».
Lei ricorda spesso le parole pronunciate dal compositore americano Samuel Barber, «durante la più bella lezione di musica che abbia mai preso». «Mi diceva – racconta Ruth – Quando suoni davanti al pubblico, voglio che mostri quanto è bella la musica, non quanto suoni bene».