Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  gennaio 15 Sabato calendario

Un docu-reality su Roberta Tagliavini

Lei ha scritto a suo modo un capitolo importante del nuovo romanzo sull’appeal milanese da esportazione. Quando aprì il suo negozio a Brera, negli anni Ottanta non ovunque da bere, quel quartiere era appannato. Ora di boutique lì ne possiede cinque, più una a Londra. Roberta Tagliavini è stata l’antesignana del modernariato nella nostra penisola. Il suo “Robertaebasta” è diventato un brand internazionale. Adesso è la protagonista de La mercante di Brera, un docu-reality ideato da Alice Lizza appena passato la domenica sera su Nove. O meglio, ne è la mattatrice carismatica. Ottant’anni, ma non sentirli; look spavaldo, sguardo magnetico, approccio gagliardo e impetuoso, è spalleggiata nella sua avventura televisiva e di tutti i giorni dal figlio Mattia e dall’interior designer Tommy. Stella polare per stuoli di addetti ai lavori, la osserviamo nelle sue contrattazioni istintive e sanguigne. È il boss delle trattative, e disdegna le cerimonie. Loro sparano una cifra, lei controbatte la sua, e alla fine la spunta. Ma a guidarla è una passione autentica e queste battaglie hanno qualcosa di rituale e giocondo. Segue profondo restauro per ricondurre l’acquisto a splendore, e il pregiato manufatto miracolato viene rimesso in vendita. A prezzo di commercio. A visitare Roberta sono collezionisti, “vip” un po’ bohémien, common people, svuotatori legali professionisti di loft della upper class e amiche e compagni di viaggio della Milano Benissimo. Nulla le sfugge, tutto conosce e l’ha imparato dal basso, ecletticamente, con l’esperienza. Intercetta migliaia di pezzi rari o rarissimi, regalandoci così un corso accelerato di storia dell’art déco italiano. E sembra suggerirci tra le righe: se fate marcire qualche tesoro liberty in soffitta, passate da queste parti, oh empi inconsapevoli, e vi servo io. Lei dalle umili origini che aveva cominciato a Bologna oltre mezzo secolo fa, col porta-a-porta. Altro che webinar. Tra gli ultimi “colpi”, ha staccato un assegno per un lampadario stilnovo disegnato nel dopoguerra da Melchiorre Bega per il salone di prima classe della stazione centrale di Milano. Occupa mezzo negozio, ma Roberta è felice come una pasqua. E basta.