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 2022  gennaio 15 Sabato calendario

Gli ex vertici Gedi cercavano ganci nel Conte I

I vertici del gruppo Gedi volevano agganciare il governo Conte-1, anche attraverso una linea editoriale diversa per Repubblica, visti i problemi economici del giornale. È l’interpretazione che la Guardia di Finanza dà di una conversazione intercettata fra Monica Mondardini – che da poco aveva lasciato il suo ruolo di ad del gruppo – e Roberto Moro, in quel momento direttore delle Risorse Umane. Mondardini e Moro sono fra i 101 indagati dalla Procura di Roma nell’inchiesta sulla presunta truffa all’Inps relativa ai prepensionamenti portati avanti dal 2009 dalla società che edita Repubblica e L’Espresso.
È il 28 agosto, il governo dell’allora premier Giuseppe Conte, sostenuto da M5S e Lega, ha giurato da meno di tre mesi. La Finanza scrive: “Moro e Mondardini discutono delle problematiche che riguardano il giornale in ragione anche del nuovo governo e del fatto che la linea sia non cambiata molto se non addirittura peggiorata”. Mondardini al telefono dice: “(…) un signore che per carità è cortese ma non si sa cosa pensi non si esprime non parla non… in una persona che per carità sarà professionale (…) ma che sicuramente non è in grado così… non fa parte del nostro mondo e non è in grado di dare… sarà questo il leitmotiv”. Moro si dice d’accordo e aggiunge: “(…) comunque l’azienda nel complesso quando ha fatto gli utili no? Per tanto tempo e adesso ci deve essere anche il sacrificio dell’azionista, che è un tema diverso dal fare l’azionista”. “L’azionista” in quel momento è la famiglia De Benedetti (estranea all’inchiesta), che di lì a poco cederà l’intero asset alla Exor degli Agnelli/Elkann (estranea ai fatti). “In questi anni – dice ancora Mondardini – abbiamo cercato di fare tutto quello che si poteva fare (…)”. È del 2 settembre 2018, quattro giorni dopo, la conversazione intercettata tra Mondardini e Francesco Dini (non indagato), dirigente Cir Spa, in cui si parla dell’incontro istituzionale da lui avuto con Vito Crimi, all’epoca sottosegretario all’Editoria. Dini commenta: “La cosa è andata straordinariamente”. Per i pm, si legge negli atti, “il gruppo Gedi faceva e continuerà a fare istanze al ministero del Lavoro per l’autorizzazione al prepensionamento, non sulla base del personale effettivamente in esubero”.
Intanto, dal decreto di sequestro eseguito a dicembre dal Nucleo di polizia Economico-finanziaria della Gdf di Roma, emergono nuovi particolari sulle modalità con cui sono stati portati avanti i prepensionamenti. Il caso simbolo è quello di Barbara Rossi, direttrice Amministrazione finanza e controllo della Manzoni Spa. Formalmente Rossi verrà demansionata a quadro. Nei fatti, per i pm, continuerà a gestire l’ufficio con lo stesso salario, i benefit e i rimborsi delle spese contributive, come emerge dalle email interne alla direzione Risorse Umane. “Rossi ha chiesto una proiezione di quanto erogheremo fino al 31.01.2015 (liquidazione) – si legge in una missiva tra funzionari agli atti – (…) le indicazioni sono le seguenti (…) Sulle differenze retributive potrebbe avere anche ragione, sulla Cigs non proprio”. La risposta è lapidaria: “Moro non è molto appassionato al tema (…) paghiamo e basta, ma con un supporto scritto che comprovi che poi è finita”. Meccanismo, quello del “paghiamo e basta” ripetuto con altri dipendenti “per evitare problemi con gli ispettori”. La conferma ai pm arriva da Paola Bietti (non indagata), sostituta di Rossi nell’organigramma ma che, per i pm, ne rimane la sottoposta: “Rossi – dice a verbale Bietti – ha continuato a coordinare la Direzione (…)”. Il Fatto ha provato a contattare lo Studio Severino, che difende gli ex dirigenti Gedi e le società indagate, senza ricevere ancora risposta.
Sul fronte Inpsfra gli indagati per truffa c’è l’ex funzionario Mauro Gennari, preposto alla “rendita vitalizia” presso la sede Inps di Roma Monteverde. Gennari, intercettato, il 1º agosto 2018 dice: “…bisogna fare un’azione di forza, andare dalla Di Michele (l’allora direttrice generale dell’Inps, ndr) (…) noi mo’ andiamo a denunciare tutte le malefatte che sono state fatte (…) io vado giù, ma con me ci vieni pure…”. Gennari sarà licenziato per altre irregolarità il 27 novembre 2018, provvedimento confermato in Appello e pendente in Cassazione. Il 14 maggio 2020 Gennari è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire 2,6 milioni di euro all’Inps, sentenza impugnata in secondo grado. “Le responsabilità sono da ricercarsi a livello più alto. Gennari non ha avuto, né concordato alcuna contropartita per quelle azioni, perché avrebbe dovuto commettere illeciti?”, dice al Fatto il suo legale Sebastiano Pennisi.