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 2022  gennaio 15 Sabato calendario

Baricco spiega il suo Novecento digitale

«Volevo scollinare in una nuova vallata, un luogo in cui c’è già qualcosa che è destinato a cambiare la nostra vita. Così sono andato a vedere». 
Parte da qui Alessandro Baricco per spiegare che cosa c’è dietro il suo nuovo progetto: Novecento. The Source Code. Ovvero, l’audio della sua lettura ad alta voce del celebre monologo teatrale – registrata il giorno di Capodanno – che lo scrittore ha deciso di fare diventare un pezzo unico digitale. Un’opera certificata da un atto di autenticità (Nft, Non-fungible token) attraverso la tecnologia blockchain, che usa la crittografia, come accade nel mondo della crypto art. 
Collaborando con un team di esperti, Baricco è così il primo autore italiano a compiere un’operazione di questo tipo per un’opera letteraria. Il file audio di Novecento si può già ascoltare gratuitamente su un’apposita piattaforma (opensea.io/nvcnt) e sarà poi messo in vendita a marzo come un oggetto da collezione, un numero zero unico e irripetibile. Come fosse la tela originale di un dipinto. 
Baricco, nel 2018 lei ha pubblicato il saggio «The Game» (Einaudi Stile libero), chiamando con questo nome la civiltà digitale in cui ci troviamo. Indicava ritmo, dinamicità, spettacolarità tra le caratteristiche di questa civiltà, mutuate dai videogiochi e in contrasto con i sistemi bloccati e chiusi del XX secolo. Come si inseriscono gli Nft e il suo «Novecento. The Source Code» in questo percorso? 
«Intanto il mio progetto è un Nft. Ancora non tutti sanno cosa significhi tale sigla ma questo oggetto digitale rappresenta lo sviluppo del Game che, insieme con l’intelligenza artificiale, modificherà probabilmente di più le nostre abitudini. Un po’ quello che dieci anni fa erano le App. Gli Nft sono opere digitali a disposizione gratuitamente, delle quali viene certificato un solo esemplare, come si potrebbe fare per una moneta. Infatti si usa il termine “coniare”, minting in inglese. Questo originale viene poi venduto a collezionisti, a persone che desiderano possederlo. Succede da circa quattro anni e per lo più si tratta di oggetti d’arte digitale contemporanea, spesso visuale. Così ho pensato: “Voglio capire questo mondo, voglio entrarci”, e mi è venuto in mente un Nft letterario. Per me è stato come scrivere un altro capitolo di The Game». 
Perché ha realizzato un file di sola voce e perché ha scelto «Novecento»? 
«Avrei potuto filmarmi mentre scrivevo la prima pagina del mio nuovo romanzo. Si può fare di tutto, ma per questo prodotto ho pensato che l’ideale sarebbe stato una sorta di Novecento, punto e a capo. Il testo ha infatti ormai quasi trent’anni e ha ispirato di tutto: oltre al monologo teatrale viene letto come libro (Feltrinelli, 1994), è stato trasposto al cinema, è divenuto persino uno spettacolo di marionette... Io ne sono strafelice, però già da qualche tempo sentivo il desiderio di recuperare il sound originario di Novecento, la musica di quando l’avevo scritto. Negli ultimi due, tre anni, Covid permettendo, sono andato io stesso a leggerlo nei teatri. Ho fatto spettacoli, un video che uscirà tra qualche mese. Così quando è spuntata l’idea dell’Nft mi sono detto: “Voglio registrare la mia voce senza alcun effetto”. Recuperare, appunto, il Source Code di un testo che è in fondo il “codice sorgente” di tutta la mia opera. Ne è nato un file audio di 80 megabyte che dura 85 minuti. E mi piace che, al momento di dargli un nome, quello che lo rappresentava di più fosse proprio un’espressione informatica. Le mie anime e i miei lavori di anni si univano». 
Quale sarà ora il destino del suo Nft? 
«Sulla piattaforma OpenSea lo si può ascoltare, duplicare, mandare agli amici. Poi sarà venduto a marzo all’asta. Ma anche se ci sarà un proprietario tutti potranno continuare ad ascoltarlo. Un’ idea nuova di opera, di business, di autore». 
Quali tipi di opere incarnano il canone degli Nft? Cambiano il concetto del bello e del gusto? 
«Effettivamente ci sono logiche estetiche e persino un’etica differenti. Diciamo che la progenitrice di questi lavori potrebbe essere l’arte concettuale. Spesso tra gli Nft si trova un senso di realtà deformata, un certo gusto del maniacale e dell’ossessivo, del nevrotico, ad esempio lo stesso personaggio rifatto in tutti i colori. Ciò non vuol dire che non ci siano progetti artistici interessanti». 
L’opera «Everydays: the first 5000 days» dell’artista digitale Beeple ha superato all’asta i 69 milioni di dollari. 
«È un lavoro molto bello. Ma questa è una cifra record, c’è anche chi spende 40-50 euro divertendosi a investire nell’arte. Tutto poi viene comprato in criptovaluta. Quindi possiamo dire che siamo di fronte a un’esperienza integrale di metaverso, quello che in The Game io chiamavo l’oltremondo: un secondo universo digitale che va in rotazione con il primo, fisico. Il fenomeno era già iniziato con i social network, ma ora stiamo trasferendo in questo oltremondo intere porzioni della vita: i soldi, il fare artistico, il consumo culturale. E i due mondi, ormai, solo insieme costituiscono la realtà». 
Che impatto avrà sull’attuale civiltà digitale? 
«La prospettiva degli Nft ci consente di vedere una traiettoria. Se già ora certi oggetti digitali, come una moneta o un’opera d’arte, possono essere autenticati, coniati, grazie al sistema blockchain, quest’ultimo – in prospettiva – potrà essere usato per tutto. Nel tempo è probabile che noi stessi come individui ci “conieremo” e poi potremo iniziare a comprare e vendere cose, a fare contratti, a votare in maniera digitale ma assolutamente certificata. Molti, inoltre, vedono nel sistema blockchain soprattutto la possibilità di ridurre le mediazioni e i mediatori. Un’ambizione che era in cima alle utopie del Game, che possiamo dire sostanzialmente fallita negli anni Dieci del Duemila, ma che ora ritorna». 
La disintermediazione ha fallito, ad esempio, per i social network. 
«Quella prima fase non ha portato la libertà e la qualità della vita che ci aspettavamo. Ma ora il mondo della blockchain disintegra tutto. La mia opera, ad esempio, entrerà in contatto con l’intero sistema sanguigno del mondo con pochissime e leggerissime mediazioni. L’aspetto più significativo di tutto è che la tecnologia blockchain non è di proprietà di nessuno ma condivisa da chi la usa. Le criptovalute non sono convalidate da istituti bancari, anzi sono nate dopo la crisi del 2008 proprio per tagliarli fuori. Non so se questa strada ci porterà verso un mondo migliore o peggiore, ma è utile capire dove stiamo andando». 
Una certa complessità tecnologica rende difficile tale comprensione? 
«Ci sono ostacoli culturali, di logica mentale, di abitudine. Ma inevitabilmente tutto si semplificherà: la tecnologia lavora per rendersi accessibile a quante più persone possibile. Detto questo, già oggi un ragazzo può investire in criptovalute senza troppe difficoltà». 
La spinta digitale. E poi la pandemia che mostra le falle dell’attuale sistema capitalistico. Cambierà il modello? 
«Mentre le istituzioni novecentesche continuano ad essere di una lentezza esasperante, la civiltà digitale deve ancora esprimersi al meglio. E quindi è lì che probabilmente deve guardare chi cerca il cambiamento. La direzione della blockchain è una delle più gravide di possibili conseguenze. Basti pensare alle cosiddette aziende Dao, che già esistono». 
«Decentralized autonomous organizations» (organizzazioni autonome decentralizzate), basate anche queste sulla blockchain. 
«Sono aziende organizzate in modo completamente diverso dalle nostre società per azioni o srl. Già molto denaro si sta spostando nel quadrilatero blockchain-criptovalute-Nft-Dao. È questa la vallata da conoscere: sicuramente una delle terre promesse, anche se non sappiamo ancora se sarà il paradiso o l’inferno».