Corriere della Sera, 15 gennaio 2022
Intervista a Nick Cerioni, inventore di look
Cosa dobbiamo aspettarci con Morandi?
«Non sarà uno stravolgimento, ma una celebrazione. Ormai ha solcato il palco dell’Ariston di Sanremo in ogni veste: in gara, da ospite e come conduttore».
Come nacque il look dei Måneskin per la finale?
«A me piace elevare un’idea a un livello al quale l’artista da solo non potrebbe arrivare. Zitti e buoni era un pezzo crudo in cui i ragazzi avrebbero potuto esprimere, con il look, anche la loro essenza luminosa e glam: un mix tra i T. Rex e Cher al Met Gala del ‘74. Loro sono bellissimi e hanno carisma, ma le sarte di Etro hanno fatto un lavoro incredibile, ricamando interamente a mano quel tulle così sottile, creando abiti di alta moda».
Sono rimasti al gruppo?
«Non lo so. In generale sì, ma per esempio quelli creati per Achille Lauro al Festival ora sono nel Museo di Gucci».
Un altro «suo» artista.
«È una persona molto aperta, sa ascoltare. Mi piace che mi abbia dato fiducia e libertà, oggi rare. Con Achille lavoro in modo diverso: facciamo tavole creative con il manager Angelo Calculli, partiamo dalla canzone per creare un universo visivo che si sviluppa su idee condivise. È bello pensare che questi successi siano supportati da una grande opera visiva, importante quanto la musica».
Con Nicolò «Nick» Cerioni, 39 anni, il creativo che sta dietro all’immagine di personaggi come Jovanotti, Laura Pausini, Pierfrancesco Favino, chiudi una finestra e ne apri un’altra, in un gioco di statole cinesi dove si mescolano musica, moda, letteratura. E vita.
Orietta Berti la ringrazia sempre per i look sgargianti.
«Orietta è stata la prima a regalare una bambola a mia figlia Blu. Io e mio marito, Leandro Emede, volevamo che i nostri gemelli, Blu e Libero, di due anni e mezzo, crescessero liberi dagli schemi, senza vestire lei di rosa e lui celeste. Poi un giorno in un negozio la bambina si è fiondata su un paio di scarpe leopardate con i lacci fucsia e lì ho capito che non ci sarei riuscito!».
Cosa si augura per loro?
«A lei di diventare presidente degli Stati Uniti, lui è più sognatore. Sono nati con la gestazione per altri in una clinica in Oregon. Io e Leandro, sposati dal 2017, abbiamo appena vinto la battaglia legale per ottenere il riconoscimento anche in Italia».
Lei a chi deve il suo talento?
«Da mia mamma Giuliana ho preso il lato fumantino e forse l’estro, pur essendo lei una persona molto sobria. L’amore per le paillettes lo devo alla baby sitter Giuseppina detta Peppa, che mi faceva vedere la Carrà in tv. Da mio padre Moreno ho preso la riflessività e la capacità comunicativa: si è sempre occupato di marketing».
Torniamo ai personaggi. Come riesce a far brillare anche senza glitter uno come Pierfrancesco Favino?
«Ha un talento mostruoso, è la nostra vera star, e sui red carpet mi piace vestirlo da star. Quando vinse la Coppa Volpi nel 2020, nel carpet inaugurale volevamo che indossasse uno smoking rispettoso del luogo, ma con un tocco diverso. Così chiesi ad Armani di uscire dalle regole e lui creò uno smoking di un grigio atipico, con una camicia che nascondeva i bottoni e non richiedeva il papillon».
Jovanotti?
«A lui voglio bene. Lavoriamo insieme da più di dieci anni. Mi ha permesso di evolvere come persona e come artista. Prima nei tour non si dava tanta importanza ai look. Nel tempo Lorenzo mi ha permesso di creare cose molto belle e pop collaborando con Valentino, Dior, Gucci, Costume National. Ed è una esperienza commovente vedere le persone sorprendersi quando lui esce sul palco».
Con chi vorrebbe lavorare?
«Con Blanco. Una volta mi sono fatto invitare a una cena dove sarebbe stato e mi sono sfacciatamente proposto. Ma ha già una stilista. Io auguro a lei di vincere la Lotteria, così magari lui chiama me».
Il look più bello di sempre?
«Quello di Raffaella Carrà nell’esibizione di Io non vivo senza te, disegnato e creato da Luca Sabatelli: è un vestito lungo di Swarovski; nel video c’è lei con sfondo buio e un occhio di bue e tutta la sua enorme maestosità».
Il 23 parteciperà come «guest judge» a Drag Race Italia, su Real Time, nella serata dedicata alla Carrà.
«Un grande regalo. E vedere le Drag che la interpretavano è stato commovente».
Come definirebbe il suo lavoro?
«A volte divertente, a volte appagante, sempre difficilissimo. Tocco un tasto intimo che ha a che fare con la percezione di sé, e spesso c’è totale scollamento tra la persona e il personaggio».
Sogno nel cassetto?
«Diventare il direttore artistico del Festival di Sanremo. Con una conduttrice donna!».