La Stampa, 15 gennaio 2022
I 20 anni di Ambra Sabatini
È difficile smaltire un oro pazzesco celebrato sopra un podio tutto azzurro, con un giro di pista tricolore, in una Paralimpiade destinata a restare. Ambra Sabatini ci ha messo dei mesi e ora che sta per compiere 20 anni inizia a correre dietro ad altri sogni. Solo che quello già realizzato è così ingombrante che ancora occupa l’orizzonte: prima nei 100 metri di Tokyo davanti a Martina Caironi, il suo punto di riferimento, e a Monica Contrafatto. Solo Italia, per un risultato da brividi.
Come si costruisce un nuovo obiettivo dopo una vittoria così?
«Il calendario aiuta. Ci dovrebbero essere i Mondiali, di nuovo Giappone, a Kobe, Covid permettendo. Vincere di nuovo sarebbe speciale e poi ho pure un tempo da seguire, voglio andare sotto i 14 secondi nei 100 metri. Ma risincronizzare la testa sul futuro è complicato. Sono stata in giostra fino alle vacanze di Natale».
Ha lasciato casa, Monte Argentario, in Maremma e si è trasferita a Castelporziano, tra Roma e Ostia, a casa delle Fiamme Gialle. Come è vivere in caserma?
«Una caserma sportiva, particolare, e una giornata scandita dagli orari degli allenamenti ovvero l’ideale per tornare a essere concentrata. Ho subito riscoperto la voglia e poi è bello avere una pista a portata, prima dovevo andare a Grosseto, e uno staff che mi segue».
Ora ha anche una relazione a distanza con il fidanzato.
«Ci sono le videochiamate, stiamo a un’ora e mezza di distanza e ho conosciuto Alessandro con lo sport, era un mezzofondista, quindi conosce la mia passione».
Vi siete fidanzati dopo l’incidente in cui ha perso una gamba.
«Si, prima eravamo amici e poi siamo diventati altro. E non c’è nessuna storia patetica in mezzo, una estate abbiamo dato una mano in una colonia per bambini. Io ho il brevetto da bagnina, lui si occupava di altre forme di intrattenimento, ci siamo frequentati e innamorati. Semplice».
Queste Paralimpiadi hanno cambiato la percezione sulla disabilità?
«Aiutano a fare passi in avanti, penso che una gara come la nostra, con quel delirio di gioia dopo, dia la reale fotografia di come stanno le cose: non finisce nulla perché non hai una gamba o un braccio o non fai più le cose nel modo in cui pensavi che le avresti fatte per tutta la vita».
Mi dica una cosa che ha visto cambiare dopo i Giochi.
«Ora anche i disabili fanno effettivamente parte di un’arma, se sono tesserati militari. Prima eri aggregato, avevi dei rimborsi, dei premi, non uno stipendio. Ora siamo trattati come gli olimpici».
Bene. E nella società civile che cosa manca?
«Io ho avuto tanta fortuna. Ero un’atleta prima dell’incidente e lo sono rimasta, ho trovato uno sponsor che si occupa di protesi, così ho il meglio con cui si possa correre. Un ginocchio come quello che uso costa 70 mila euro e dura 5 anni. L’Asl passa una quota minima e si parametra su protesi meccaniche quando, ormai, quelle che ti consentono di muoverti senza limiti sono elettroniche. Va cambiata la normativa».
Nella festa di Tokyo lei e le sue colleghe avete dato un’idea di movimento unito. Quanta rivalità c’è in mezzo a quell’intesa?
«Prima della gara ognuna pensa a sé, anzi: ognuna pensa a battere l’altra. Prenda le Paralimpiadi: io arrivo con il record, Martina me lo soffia in gara e io me lo riprendo. La rivalità spinge. Prima di entrare in pista ci siamo promesse "Comunque vada tiriamo fuori questa bandiera". Poi, io sono un po’ il collante tra due personalità assai differenti, Martina e del Nord, Monica del Sud, sono gli opposti in tutti i sensi. Le guardo discutere e rido».
Avete fatto una impresa, quali gesti sportivi la hanno spinta a diventare chi è?
«Da bambina facevo pattinaggio artistico e avevo un pesce battezzato Carolina, Kostner era l’idolo. Poi ho iniziato con la pallavolo ed era tutta una imitazione di Francesca Piccinini, ma volevo che i risultati dipendessero solo da me, ho cambiato».
E il faro dell’atletica?
«Più di uno. Devo ammettere che se in quel letto di ospedale, senza più una gamba, non ho smesso di pensare di correre è stato anche perché mi è subito venuto in mente Pistorius. Figura controversa, però ha cambiato il concetto di sport paralimpico, ha corso con i normodotati, ha spostato un confine».
Lo vorrebbe conoscere?
«Difficile rispondere. Vorrei dire di no visto quello che è in carcere per omicidio, ma se si potesse parlare solo di atletica, se stessimo in un mondo alternativo dove esiste solo l’atletica, sì: mi piacerebbe molto parlargli. Comunque, lo ripeto, sono stata fortunata, ho avuto davanti chi mi ha spianato la strada. In Italia Martina Caironi è davvero stata una apripista».
Che cosa ha pensato la prima volta che si è guardata allo specchio dopo l’incidente?
«Non ho visto nulla di diverso in me. Certo, avevo una gamba meccanica, mi sentivo un po’ robot, bionica, anche se ora basta con ’sta letteratura da supereroi alle Paralimpiadi».
Le dà fastidio?
«Chi gareggia lì ha superato molti ostacoli, vero, però di Jacobs non dici "poverino". E non voglio che lo si dica di me».