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 2022  gennaio 15 Sabato calendario

Matteo Berrettini e la moda. Intervista

Mi prendono in giro per la nonna. Al telefono mi dice sempre: “Quanto sei bravo, quanto sei bello, se sorridi ancora di più”». Matteo Berrettini, 25 anni — primo tennista italiano ad aver giocato la finale di Wimbledon e numero 7 del ranking mondiale — incarna il nuovo maschio. Forte, fortissimo ma sensibile, umile e tenace, è un viaggiatore cosmopolita che non si vergogna a esprimere emozioni e fragilità: l’attaccamento alla famiglia, il legame con la collega Ajla Tomljanovic — croata naturalizzata australiana — e l’infortunio che lo ha costretto a rinunciare al sogno delle ATP Finals di Torino e alla Coppa Davis. Prestante e stylish, è stato corteggiato da molte maison ma agli Australian Open indossa la capsule creata con Boss di cui è Global Brand Ambassador: «È un mix tra eleganza e sport: il materiale stretch leggero è stato decisivo per non appesantire con il sudore polo e pantaloncini. Il team poi è stato fantastico nel trovare le soluzioni giuste per farmi sentire comodo in campo e fuori».
Ha partecipato con Ajla Tomljanovic al Met gala di New York in smoking, la moda la intriga?
«Per mia nonna, James Bond è l’uomo più elegante del mondo.
Quando mi ha visto al Met è quasi svenuta! 007 è il mio modello di stile. Mi piace fare shopping, a logo giganti e all’ostentazione però preferisco sobrietà e semplicità».
Si sente come il gladiatore a cui la paragonano?
«Un po’ sì, visto che sono romano.
Come un pugile, il tennista sta solo di fronte all’avversario, ma io non scendo in campo per uccidere (ride, ndr), cerco solo di vincere.
Prima del match ricordo la fatica e i sacrifici fatti, poi non mi arrendo mai».
Come si definirebbe?
«Come un ragazzo analitico. Posso rimuginare per giorni i pro e contro prima di fare una scelta, ma a volte quel ponderare mi appesantisce, soprattutto in campo dove le decisioni vanno prese in un attimo.
Ecco perché pensare tanto è la mia forza e la mia debolezza».
In partita riesce a fare il vuoto?
«Ero soprannominato la radio per il mio parlarmi addosso quando le cose andavano male.
Per gli ipercritici e perfezionisti come me, cambiare è un processo lungo e complesso. Quando ho capito che il vero obiettivo era vincere, mi sono detto: “Adesso zitto”. Se sbaglio, pazienza. Sembra banale, ma è stato più difficile che servire a 200 chilometri all’ora».
La freddezza aiuta lo sportivo?
«Paura, gioia e amore sono il mio motore. Le emozioni fanno la differenza e i campioni hanno imparato a gestirle. Senza, a un certo punto, ci si ferma».
Cosa si rimprovera di più?
«Ripetere lo stesso errore mi fa impazzire. Sono duro con me stesso perché sono cresciuto con l’ideale del giocatore perfetto».
Come ha superato la frustrazione dell’infortunio?
«Sono ripartito dalla tristezza. Le delusioni vanno vissute fino in fondo. Chi se lo immaginava che la stagione finisse così... Ovvio che avrei sperato in qualcosa di diverso, me lo sarei meritato. Ma questo è lo sport. Ho spinto il corpo al massimo e alla fine ha ceduto».
Si accorge di tutto, anche se sua madre cambia lo smalto...
«Sono da sempre un maniaco dei dettagli, Ajla si lamenta: “Che preciso!”, noto persino quando la nuance del rossetto è diversa e in campo non mi sfugge niente, da ogni sfumatura dell’avversario alle reazioni del pubblico. Il mio team sta in campana. Dopo la partita li interrogo: “Perché avete fatto quella faccia?”».
La chiamano “poster boy”, la sua ragazza è gelosa?
«Ajla è gelosa il giusto. Come me non fa scenate. E gli apprezzamenti mi piacciono, la nonna mi ha abituato bene».
La famiglia è il segreto della sua stabilità?
«È la mia colonna portante.
Quando ho scelto di dedicarmi al tennis mi hanno incoraggiato. Per loro era importante che mi impegnassi completamente e io ho sentito che non potevo tradirli».
Come ha conquistato Ajla?
«È stata la mia battaglia più tosta.
Il primo passo l’ho fatto io ma poi abbiamo avuto bisogno di tempo per fidarci, soprattutto lei.
Veniamo da due culture diverse: noi italiani ci attorcigliamo mentre lei, che è croata, bada subito al sodo senza pensarci troppo su.
La sua concretezza mi è servita a crescere».
Cosa si aspetta dagli Open?
«Sono carico, fiducioso, ho recuperato l’infortunio con tanta voglia di tornare in campo. Questa nuova collaborazione con Boss mi piace, mi fa sentire a casa e mi dà una bella sferzata di energia».